Lo sguardo del flâneur / di Ulf
Peter Hallberg
Lo
sguardo del flâneur (Flanörens blick, 1996) –
Traduzione dallo svedese e postfazione di Massimo Ciaravolo
– Prefazione di Claudio Magris.
I ed.: Aprile 2002 - Iperborea editore.
pp. 320 - ISBN 88-7091-101-2.
"E' semplicemente un dato di fatto che gli uomini
raccontano storie. E' così che viviamo, è
parte della nostra natura umana, è così che
assimiliamo il mondo", dice Paul Auster intervistato
in questo libro. Ma se possiamo continuare a raccontare
storie per cercare di dare un senso al susseguirsi di esperienze
della nostra vita, la Storia, il presente in cui viviamo,
smarriti nel cumulo di fatti, travolti da ritmi con cui
non riusciamo a tenere il passo, non si lascia ordinare
in un racconto. La letteratura può solo offrire lampi
di illuminazione, salvare dall'oblio frammenti di realtà.
E' per questo che Hallberg sceglie il punto di vista del
flâneur per gettare uno sguardo sull'Europa negli
ultimi dieci anni, sui frantumi di un'identità che
non si è più ricomposta dopo la caduta del
Muro. Il flâneur, lo svagato passeggiatore baudelairiano
immortalato da Benjamin, che segue il flusso della folla
e si lascia portare dal caso, non pretende di arrivare a
una visione unitaria che spieghi il vissuto, di offrire
un filo con cui districarsi nel labirinto della contemporaneità
e decifrare i segni del futuro: gira per Berlino, Parigi,
New York, Vienna, Praga, Bratislava, Cracovia, Mosca, San
Pietroburgo, fotografando immagini, evocando ricordi, osservando
i tipi umani che incontra nei caffè, sui treni e
per le strade, registrando voci. Sa che non ci sono risposte,
ma che bisogna continuare a porre domande: interroga gli
scrittori, come testimoni privilegiati di un tempo che procede
per svolte epocali. Paul Auster, Yves Bonnefoy, Péter
Nádas, Ivan Klíma, Walter Abish, Péter
Estherázy e altri, incontra Gisèle Freund
e gli attori di Kantor, cita i grandi maestri, viaggia con
un redivivo Walter Benjamin e un'eterna amata Anna Blume,
trascrive dialoghi e parole. Non per illudersi di capire,
ma per non perdere la memoria di un passato recente che
ha lasciato cicatrici nelle città e negli uomini
e che pure sembra già spazzato via dalle ruspe insieme
alle macerie, e non potendo più, come dice Magris
nella prefazione, "cogliere e liberare i frammenti
di speranza, di felicità, le promesse del futuro
sepolte in quelle rovine", per cercare almeno di trovare
se stesso e una ragione per continuare a scrivere.
(Scheda a cura di Iperborea.com)
Contesto
|
|