L'ombra della storia sulla Mennulara di pina la villa


L'ombra della storia sulla Mennulara
di pina la villa

Come dare voce a chi non l'ha mai avuta? Simonetta Agnello Hornby, al suo primo romanzo, c'è riuscita. E lo ha fatto raccontandoci una storia che ha la suspence del giallo, le atmosfere del romanzo storico, le emozioni di una storia d'amore, personaggi indimenticabili. E ti lascia l'amaro della riflessione e il senso di appagamento di un sogno, come ogni romanzo deve fare.

Mennula è parola siciliana per mandorla. La Mennulara del titolo è una raccoglitrice di mandorle, poi diventata "criata", cameriera in una ricca famiglia di un paese siciliano non ben identificato, Roccacolomba. La sua storia, visto che non può raccontarla lei - ha imparato a leggere ma non vuole scrivere e poi è una "fimmina di panza" o di stomaco, come si dice ancora dalle mie parti, nel siracusano, per dire che non è cosa semplice cavarle di bocca segreti, emozioni, pensieri - ci viene raccontata dall'autrice attraverso le vicende successive alla sua morte, avvenuta nel 1963. E' tutto il paese che la racconta, nelle sue vecchie e nuove articolazioni sociali: il mafioso, il rampollo dei ricchi amministratori delle terre dei nobili decaduti, il prete, il medico, l'avvocato, l'impiegato delle poste comunista, la cameriera, l'autista, il portinaio, il piccolo bottegaio, i vecchi del Circolo della Conversazione. Parlano, rievocano, ricordano. Ma l'azione è ancora determinata da lei, la mennulara, che ha predisposto tutto prima di morire, da amministratrice oculata e "fimmina di panza" quale è stata.

I richiami sono tanti: I Viceré di De Roberto iniziano proprio con un funerale, rito particolarmente significativo in Sicilia, forse ancora oggi; in Verga troviamo diverse figure femminili che emanano lo stesso fascino della mennulara; in Sciascia e Brancati le figure della borghesia inetta degli anni cinquanta.

Ma il ritmo, il linguaggio, la freschezza del racconto sono inediti.
E soprattutto, di inedito, c'è lei, il personaggio della mennulara. Eppure, quante storie simili alla sua? Tante, stando ai racconti delle nonne. "A criata" , la serva, era all'ultimo gradino della scala sociale, "mai a mmo figghia a fari a criata!" dicevano i genitori poveri: non manderò mai mia figlia a fare la serva. E fino a quando riuscivano a portare il pane a casa, ciò non succedeva. Perché "a criata, si nunnè tuccata è maniata": la serva se non è toccata è maneggiata. I maschi di casa ne approfittavano, perché la ragazza entrava nella casa dei padroni in genere giovanissima, bambina, e stava lì notte e giorno, a volte se i padroni non avevano figli o se erano generosi, diventava "figghia santa", veniva adottata, ma il marchio d'origine non veniva levato così facilmente. Negli anni a cui si riferisce il libro si verificano casi in cui il "signorino", il giovane della famiglia, sposa la "criata", ma sono casi eccezionali e significano il discredito per tutta la famiglia, anche quando la famiglia non è ricca né blasonata. Non c'è un salario, ci sono i doni, il vitto e l'alloggio, e tanto lavoro.

Sono tutte storie incoffessabili, tutte rimaste nell'ombra. Sono storie tristi, cupe come i tetri palazzi della Catania di De Roberto e le campagne arroventate dal sole di Verga, senza speranza, senza riscatto. Materia difficile per un narratore. Simonetta Hornby riesce a evitare di fare del personaggio della mennulara una vittima, e della sua storia una storia triste e patetica, perché "il segno - dice Aldo Busi in una memorabile recensione del libro nell'inserto de La Stampa del 21 settembre 2002 - dell'autore che si insinua nei cento personaggi di Roccacolomba evocanti la Mennulara, un'arpia di fata buona, è impercettibile, di una leggerezza che ha lasciato a terra tutte le scorie della subcultura etnica e dello storicismo" e perché " il registro dominante levita in un'ironia mai prevaricante e mai per fuggire dai problemi narrativi".

E' "il pugno di ferro dello stile" che consente a Simonetta Agnello Hornby di creare un personaggio al tempo stesso vero e grande, come difficilmente oggi se ne possono creare. Ma è proprio il suo sfuggire, il suo silenzio, la sua personalità risolta tutta nell'azione e nelle testimonianze frammentarie, a farne un personaggio dello spessore d'altri tempi, d'altri romanzi. Un personaggio che è difficile amare senza sentire una certa inquietudine. Dice ancora Aldo Busi "La Mennulara non è una umiliata e offesa soltanto, non è un cuore semplice, è la sua riscossa, e il cuore si fa complicato, lungimirante per rassegnazione al martirio dovuto: gettando scandalo in un intero paese che sembra dominare del tutto con l'imperio dei suoi occhi e della sua voce e tradendo e sfruttando a sangue la povera gente da cui trae le sue miserrime origini, arriverà a umiliare, a offendere lei, a forgiare destini secondo un suo imperscrutabile disegno, a incutere paura senza averne mai e, riscattata, a soccorrere poi con generosità e pietà immensa chi dimostra di sottostare al suo inspiegabile potere, economico, sì, ma sorto sulla crudeltà per sé di confidare solo nel potere dell'intelligenza e del sacrificio. Se la donna sembra mantenere una sua zona di amore inviolato e inviolabile è solo per trarvi l'energia per il suo odio verso chi deve odiare o deve far finta di non amare per non turbare equilibri antichi, intoccabili e, soprattutto, per non essere avvicinata e rivelata nella sua compromettente, per lei insopportabile, vergognosa vulnerabilità di bambina senza mai infanzia e senza più futuro, e un solo presente per lei raggiungibile e non opprimente: da morta".

Articolo apparso su Girodivite 96, ottobre 2002

Contesto: Simonetta Agnello Hornby

 


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