Sulla Mennulara, di Aldo Busi
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La Mennulara è un romanzo,
sfrontatamente prosaico, di quella duplice bellezza che conviene
subito e nel tempo[
] è un romanzo non di gastronomia
letteraria, bensì, udite, di letteratura. Con la mennulara
[
] ritroviamo i fasti del romanzo corale e di rigoroso
paganesimo dei riti sociali [
]. Il fulcro temporale
del romanzo sono pochi giorni del settembre 1963 a Roccacolomba,
un paese che si suppone non troppo lontano da Catania, ma
sono come nodi al pettine di tutto un secolo (forse dal 1880
con cui chiude proprio I Viceré?) ma mai davvero trascorso
per tradizioni, privilegi di casta e privilegi anche di gleba
e, soprattutto, per mentalità restia a ogni innovazione
[
] L'impianto del romanzo sembra classico nel senso
retrivo tale è la fluidità di lettura, addirittura
ottocentesco per l'uso sistematico del passato remoto, come
se la storia fosse conosciuta a monte del raccontarla e pertanto
mancasse di ogni sorpresa e intento stilistici, tutta compresa
come sarebbe a gonfiare di parole un aneddoto risaputo: invece
ci si avvede subito che la storia che si dipana sotto i nostri
occhi non la sa nessuno nella sua interezza, e men che meno
l'autore che la sta scrivendo, all'istante, come se egli stesso
venisse a saperla di riga in riga dai personaggi interpellati
a portare ciascuno la sua tessera del mosaico, la sua parola
tanto inconsapevole quanto specifica e decisiva per le tessere,
e le parole, di ogni altro. In verità, ed ecco lo splendido
non segreto dell'opera, non è solo una storia che si
dipana sotto gli occhi del lettore, bensì uno stile,
e condotto con pugno di ferro e precisione di colpi, per sottrazioni
e accumulazioni impercettibili. Il mosaico, per non dire la
ragnatela assassina quanto suicida, sembra incommensurabile
perché il mistero, che tutti professano tali, è
un finto mistero sostenuta dalla necessità collettiva
di proteggersi l'un l'altro grazie, qui, alla forma più
sottile e radicale di omertà e di complicità:
il pettegolezzo. Allorché la Mennulara era riuscita
in vita a piegare la sorte solo di molti, con la sua morte,
ampiamente da lei stessa pianificata come ulteriore segno
della spietatezza della sua bontà, determina il presente
di tutti a Roccacolomba e incombe, terribile e mellifluo come
il sorriso affranto di un mafioso, sul futuro di un'intera
isola. E il segno dell'autore che si insinua nei cento personaggi
di Roccacolomba evocanti la Mennulara, un'arpia di fata buona,
è impercettibile, di una leggerezza che ha lasciato
a terra tutte le scorie della subcultura etnica e dello storicismo,
il registro dominante levita in un'ironia mai prevaricante
e mai per fuggire dai problemi narrativi, o emozionali, lasciandoli
irrisolti, e si legge con stupore di cameriere, Circolo della
conversazione, lupara, ricamatrici, famiglie ricche e famiglie
decadute e di rispettive famiglie a servizio da generazioni,
riforme agrarie, dell'affacciarsi della droga quale promettente
mercato di massa e della televisione quale suo stordente battistrada,
di portinerie in antichi palazzi già quasi disabitati
ove si fucina la giustizia del popolino ma anche le svolte
di pensiero e azione da parte dei suoi sfruttatori
e
tu leggi e leggi e leggi affascinato da tanta modernità
e non capisci come sia possibile trattare una simile materia
e farla sembrare inedita, e curiosa, e non c'è alcun
cascame di nostalgia, alcun sentimentalismo, poerfetto il
tempismo tra il presente, il passato e ciò che è
in agguato. E c'è innanzitutto lei, la mennulara: per
forza di autoannientamento tramite la determinazione a vincere,
a sedurre, a conquistare, magari solo un po di affetto
tardivo ma sincero, echeggia la Lupa del Verga. Perché
qui tutto è - e a quei tempi tutto era - la passione
per la passione e la roba per la roba, e, proprio come adesso,
con la roba rubavi la passione non corrisposta e, se non ci
riuscivi, accumulavi altra roba ancora per seppellirti sotto.
La Mennulara non è una umiliata e offesa soltanto,
non è un cuore semplice, è la sua riscossa,
e il cuore si fa complicato, lungimirante per rassegnazione
al martirio dovuto: gettando scandalo in un intero paese che
sembra dominare del tutto con l'imperio dei suoi occhi e della
sua voce e tradendo e sfruttando a sangue la povera gente
da cui trae le sue miserrime origini, arriverà a umiliare,
a offendere lei, a forgiare destini secondo un suo imperscrutabile
disegno, a incutere paura senza averne mai e, riscattata,
a soccorrere poi con generosità e pietà immensa
chi dimostra di sottostare al suo inspiegabile potere, economico,
sì, ma sorto sulla crudeltà per sé di
confidare solo nel potere dell'intelligenza e del sacrificio.
Se la donna sembra mantenere una sua zona di amore inviolato
e inviolabile è solo per trarvi l'energia per il suo
odio verso chi deve odiare o deve far finta di non amare per
non turbare equilibri antichi, intoccabili e, soprattutto,
per non essere avvicinata e rivelata nella sua compromettente,
per lei insopportabile, vergognosa vulnerabilità di
bambina senza mai infanzia e senza più futuro, e un
solo presente per lei raggiungibile e non opprimente: da morta.
Un divertimento maestoso".
Aldo Busi, Scoprite la Mennulara, una cameriera straordinaria,
tutta roba e passione, in: Tuttolibri, 21 settembre 2002,
p. 3
Contesto: Simonetta
Agnello Hornby
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