Maria
la scrivente e Concetta la protagonista, di pina la villa
Maria la scrivente e Concetta la protagonista
di Pina La Villa - Questo intervento è il testo
integrale parzialmente letto in occasione della presentazione
del libro di Maria Attanasio Di Concetta e le sue donne
(Sellerio, 1999), presentato assieme allo storico Rosario
Mangiameli alla Libreria Tertulia (Catania) il 21 dicembre
1999. A questa iniziativa Girodivite ha dato il suo supporto
organizzativo. Pubblicato sul n.59, dicembre 1999 di Girodivite.
Stasera presentiamo il libro di Maria Attanasio, Di Concetta
e le sue donne, pubblicato a settembre di quest'anno da
Sellerio. Il libro di Maria Attanasio è stupendo.
Nel libro Maria Attanasio racconta Concetta La Ferla, una
protagonista della lotta politica a Caltagirone negli anni
sessanta e settanta. Siamo a Caltagirone quindi, in provincia
di Catania, e il racconto prende le mosse dall'incontro,
qualche anno fa, tra Maria, l'autrice, e Concetta, la protagonista,
figura a metà tra il capopopolo - nel PCI del dopoguerra
- e la protofemminista. E l'incontro e il libro nascono
dal loro desiderio di storia. Hanno condiviso l'impegno
politico nel Pci, che per Concetta era iniziato nel dopoguerra,
per Maria alla fine degli anni sessanta, e per entrambe
è finito alla fine degli anni settanta. Durante alcuni
loro incontri Concetta ricorda, si racconta e racconta le
vicende che l'hanno vista protagonista. Maria raccoglie
la sua voce e la sua storia. Più che raccontare Concetta,
Maria dà al racconto che Concetta le ha fatto della
sua vita, la forma della scrittura, conferendo così
alla donna e al suo racconto la garanzia della memoria,
la dignità della storia, in una parola l'esistenza.
Ingenuo, appassionato e generoso, l'impegno politico delle
donne nasconde proprio in questi termini i suoi difetti,
come risulta dalle vicende raccontate. Nel racconto però
c'è anche altro, c'è il costume, la mentalità,
la storia di quegli anni: il dopoguerra, gli anni cinquanta
delle lotte per l'acqua, gli anni sessanta del movimento
studentesco, gli anni settanta della guerra nel partito
per l'esistenza della sezione femminile, gli anni ottanta
del silenzio, della solitudine e del disincanto e gli anni
novanta della solitudine, della nostalgia e della necessità
di riprendere il filo della lotta. L'amore, il matrimonio,
i figli, la lotta e l'incomprensione con la madre, l'ammirazione
per il padre. [Del significato di questa storia parlerà
il prof. Mangiameli, di altri aspetti del libro parleremo
poi insieme, se volete, e insieme a Maria Attanasio. In
questa mia breve presentazione dell'autrice vorrei solo
sottolineare, parlando di memoria, di parola e di esistenza,
il senso del suo percorso letterario, ma non solo letterario.
E lo farò attraverso il libro stesso] Un libro che
consegna alla storia un periodo, una persona vera, anzi
due persone vere - come recita alla fine la dedica "Maria,
la scrivente, e Cettina, la protagonista". Si intuisce
un rapporto difficile fra le due donne, scelte che le hanno
separate, mondi diversi. L'autrice realizza un equilibrio
complesso ma riuscito tra il rispetto della protagonista
e la sua diversa storia, il dire le cose che le stanno a
cuore. Lo realizza attraverso la struttura del racconto,
di cui per esempio l'introduzione e la notizia finale fanno
parte integrante, a dispetto di quanto potrebbe sembrare
ad una prima lettura - ma soprattutto lo realizza ritrovando
ciò che le aveva unite: nel deserto dell'oggi le
figure e i valori di una stagione segnata dall'azione e
dalla passione collettiva. Maria racconta Concetta trasferendo
nella parola scritta e nel ritmo del racconto la qualità
popolare, enfatica, il respiro corale ed epico del raccontare
di Concetta. E riesce così a dare il senso esatto
, non solo attraverso i fatti raccontati - sui quali magari
si potrà discutere, vedere le ragioni e i torti,
il prima e il poi e le date esatte - ma proprio, nella scansione
del racconto di una vita, il senso profondo di una stagione
della nostra storia, gli anni 60-70. Ma ogni biografia e
anche un'autobiografia. Anche Maria si fa raccontare da
Concetta: come solo Concetta poteva fare. Maria si racconta
anche direttamente, nella prima, bellissima, parte del libro
in cui descrive come nasce questo racconto, il senso dell'incontro
con Concetta. E' il massimo di autobiografia che Maria,
per ora, si vuole e si può concedere. Ma, per quegli
anni, è Concetta che racconta Maria. Maria diventa
personaggio, persona raccontata attraverso alcuni cenni
di Concetta, che io ho rintracciato tra le righe, per presentarvi
stasera l'autrice del racconto. Concetta , parlando dell'insorgere
del suo bisogno di raccontare, dice : "E pensai a Maria.
Al tempo della sezione femminile faceva la scrivana dei
verbali; anche discorsi rivoluzionari sapeva fare, ma ero
io come un fuoco nelle lotte, e le donne mi seguivano a
frotte.[…] Non è che lei si scanta, [a parlare
ancora di politica] ma non ne vuole più sentire di
partito e campagne elettorali. E' ancora comunista dichiarata,
ma fa l'intellettuale: scrive articoli e puranche poesie,
di quelle che niente si capisce, non come quelle commoventi
che studiavo a memoria dalle testeinfasciate.[…] Attraverso
le parole di Concetta, Maria racconta anche il senso del
suo impegno politico e della sua scrittura, affronta il
tema del ruolo dell'intellettuale. Certo, pure loro ci vogliono,
gli intellettuali, lo hanno detto tutti i grandi compagni
tramontati: Marx, Lenin e anche Gramsci e Togliatti […]Ma
le parole non hanno dato mai da mangiare a nessuno, nemmeno
agli stessi intellettuali. E con tutto il rispetto per i
grandi compagni tramontati, io credo che senza la mobilitazione
delle masse popolari, non c'è niente. I libri e le
parole servono come le piccole lumiere che fanno un po'
di luce quand'è scuro, ma non sono la luce. Sono
un'imitazione. Che può servire certo, come servono
adesso, le parole, in questo tempo grigio come tonaca di
monaco, a ricordare alle nuove generazioni, senza midollo,
e col piattoimpiattato, che anche qui, nella città
dei culichiatti, c'è stata la rivoluzione proletaria;
che qui, è vero, non ha portato il socialismo, però
ha cambiato il modo di pensare, e senza modo di pensare
non c'è vittoria rivoluzionaria. E a Caltagirone
questo modo di pensare e le lotte le hanno fatte le donne.
Che sono state proprio le donne a far tremare quelle facce
di gerba dei democristiani. Tutto questo ci volevo ricordare
nel libro della mia vita alle nuove generazioni, che camminano
e non sanno."(pp. 39-40) Concetta ha capito che sono
arrivati i tempi in cui c'è bisogno di "lumiere"
e ha capito il valore politico della nuova attività
di Maria. Possono di nuovo incontrarsi, rinnovare la vecchia
passione politica attraverso il racconto e la memoria, sulla
quale Maria lavora da tempo, attraverso le poesie che Concetta
non capisce ma soprattutto attraverso i racconti, che ha
capito. Non a caso Maria inizia a pubblicare con Sellerio
i suoi racconti agli inizi degli anni novanta. Anni difficili
ma anche di reazione alla cultura di destra che paurosamente
avanzava. Dopo aver scritto e pubblicato poesie , fatto
assolutamente fondamentale - per capire la qualità
della sua scrittura, densa, piena ed essenziale insieme
- poesie, di cui è anche appassionata lettrice, raccolte
nei volumi Interni (1979) e Nero, barocco nero (1985) ,
Maria pubblica nel 1994 con Sellerio Correva l'anno 1698
e nella città avvenne il fatto memorabile. Di qualche
anno dopo, nel 1997, Piccole cronache di un secolo, scritte
con Domenico Amoroso, sempre per Sellerio. Mi piacerebbe
parlare un po' più a lungo di questi testi, soprattutto
in relazione al tema della memoria- che risulta già
dai titoli. Per brevità intanto riporto solo la nota
scritta da Maria al primo dei suoi racconti delle Piccole
cronache in cui dice che, dei due cronisti a cui ha attinto
per la sua storia - la storia dell'incendio successivo al
terremoto del 1693 in cui morirono, fra gli altri, un uomo,
una donna e la loro bambina appena nata, nessuno "cita
i nomi dei protagonisti della "lacrimevole sciagura":
il maestro carpentero e sua moglie restano anonimi individui
di un'anonima folla. Viene invece indicato il cognome della
nobile famiglia Landolina, che in quell'incendio perse la
sua ricca e sontuosa mobilia: la vita umana in quel tempo
- ma anche in questo - meno memorabile del valore delle
cose"p. 18 Il senso della scrittura di Maria si viene
precisando , come ci dice anche in questo ultimo libro ,
nel senso di una reazione alle "azzeranti generalizzazioni
della storia",e a questo tempo "smemorato".
Anche nel libro che presentiamo stasera si tratta di far
emergere dalla storia , dalle sue "azzeranti generalizzazioni"
, "l'improvviso pulsare di un singolo". (pp. 33-34)
Con la coscienza, però, di farlo "Attraverso
la deliberata, lucida, infedeltà della scrittura"
(Piccole cronache…) Maria quindi ha continuato a fare
politica, anche se in maniera diversa. La sua scrittura
è scrittura di grande impegno politico, nelle storie,
nel modo di raccontarle, nelle scelte che fanno loro da
contesto. Ma c'è stato un periodo in cui il rapporto
fra politica e poesia, fra politica e impegno intellettuale
è stato molto diverso, e anche questa è una
testimonianza di quegli anni. Maria si racconta attraverso
le parole di Concetta, si fa raccontare da Concetta. "nel
frattempo si erano iscritte al partito anche delle donne
istruite, che, però, non restarono nella sezione
maschile; subito, per libera scelta, si misero al fianco
del movimento femminile. La più accanita era Maria
che aveva sui venticinque anni e faceva l'insegnante di
filosofia al liceo; scurigna e snella, con capelli lunghi
e lisci lisci e con occhi verdi infiammati che spiccavano
come due fari, non pareva una professoressa, ma una zingarella,
una magara; invece era intelligentissima di ragionamento
politico, ma di più si esaltava ad andare nei quartieri
per conoscere la gente che soffriva. Con lei c'è
stata sempre, e c'è ancora, sincerità di politica
e amicizia, e anche se tante volte c'era diversità
di pensiero, parlavamo e arrivavamo a un punto di soluzione.
I dirigenti della sezione maschile all'inizio fecero di
tutto per metterci l'una contro l'altra, istigando tra noi
la gelosia politica: quando, per esempio, si trattava di
mandare qualche donna nel comitato federale o in qualche
convegno, loro sempre indicavano Maria. Ma lei non è
una che si fa usare da nessuno, né maschio né
femmina. Dopo le prime volte capì la cosa e la volta
successiva, ai compagni che la proponevano, ci rispose che
dovevano essere le donne a scegliere le donne." (pp.79-80)[…]
Prima di ogni riunione Maria mi raccomandava di non alterarmi,
e se era seduta vicino a me mi tirava per la manica. […]
Spesso perciò per evitare scontri parlava Maria a
nome della sezione femminile, che era più politica.
Non serviva a niente; ogni assemblea, ogni attivo, ogni
direttivo del comitato cittadino, lo stesso erano sciarre"(p.
83) Al congresso cittadino della fine del '71 "Eravamo
seduti separati - gli uomini da un lato, le donne dall'altro
- e nella sala c'era un'atmosfera elettrica, che bastava
un niente a far esplodere; per la sezione femminile fu Maria
a fare la relazione, e li fece sminchiacolare a tutti con
l'analisi della differenza tra il movimento femminile, che
era vicino ai problemi della popolazione emarginata, e la
sezione maschile, che invece, volendo andare all'alleanza
con impiegati e parrinari, nei quartieri non ci andava mai:[…]
(p.90) Il congresso finì con l'abbandono del partito
da parte delle donne. "Maria restò invece nel
partito. Nelle successive elezioni amministrative fu eletta
consigliera comunale […] ma dopo sei mesi si dimise:
i compagni facevano sempre in modo, con la denigrazione,
di far sdegnare le donne. Si allontanò dalla frequentazione
politica - non però dal comunismo - e cominciò
a riprendere a scrivere. Era brava nella scrittura, ed era
un peccato che l'aveva per tanto tempo trascurato: anche
se, certo, la politica è di più della poesia".
Nelle parole che ho riportato - sono praticamente tutte
quelle che nel racconto Concetta riserva a Maria - in realtà
è Maria che si racconta attraverso le parole di Concetta,
e possiamo credere che il dilemma fra politica e poesia
sia stato forte all'epoca , e che solo con la sconfitta
, quando, a metà degli anni settanta molti abbandonano
sia il PCI che i gruppi , sia tornata alla poesia e alla
scrittura. Il dilemma c'è forse anche oggi, ma sa
già come risolverlo. Oggi è il momento della
parola come "lumiera" in questo tempo grigio come
tonaca di monaco. E Maria continua a fare politica. "Il
futuro mi preoccupa perché è il luogo dove
penso di passare il resto della mia vita" (Woody Allen)
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Ho voluto cogliere, del testo, l'aspetto politico, consistente
essenzialmente in una operazione che forse non è
pacifico ritenere politica: la letteratura, un uso particolare
della letteratura. Operazione "rammemorante" potremmo
chiamarla, che usa la parola, la parola poetica, come strumento
e la storia come teatro, come scenario per parlare dei problemi
dell'oggi. Nel libro Correva l'anno…Maria Attanasio
attinge alla cronaca di un oscuro cronista del seicento
, il decoratore di stoviglie Giacomo Polizzi, per raccontare
la storia di Francisca Francisca, giovane popolana, sposa
Nicola e con lui lavora i campi. Morto il marito Francisca
ha davanti a sé la prospettiva di una assoluta indigenza
o la strada della prostituzione. Francisca decide però
di lavorare, contravvenendo così ai codici di comportamento
vigenti in Sicilia nel XVII secolo. Ma per lavorare deve
"occultare", nascondere, soffocare, la sua femminilità
ed ecco che Francisca diventa "masculu fora e fimmina
intra". Scoperta questa ambiguità, Francisca
viene accusata di stregoneria e trascinata davanti all'Inquisitore.
Il quale però l'assolve. E una storia particolare
, è la storia dei margini, della periferia: la città,
Caltagirone, l'umile cronista, la popolana, l'inquisitore
di origini ebraiche e di letture illuministe che assolve
Francisca. Ancora la città in Piccole cronache. Ma
il secolo è il Settecento, scelto, come scrivono
i due autori nella prefazione, perché è "un
secolo centrale nella costruzione della coscienza civile
in Occidente". Letto, "in una spazialità
urbana marginale rispetto all'Europa", attraverso "minime
storie di vita". Sono, per lo più, figure femminili,
che assumono comportamenti trasgressivi o che attuano quantomeno
uno scarto dalla norma. Soprattutto sono vittime tutte,
in qualche modo, del potere nelle forme in cui esso variamente
si è presentato nella storia. Tutto ciò che
troviamo nei racconti di Maria non era certamente nella
scarne cronache dell'epoca. Che accennano agli eventi. Ma
l'autrice, con un'operazione che rinnova la grande tradizione
del romanzo storico, al di là dell'evento scarnificato
e a stento salvato dalla distruzione del tempo, ritrova
e ci restituisce le esistenze, il quotidiano, i sentimenti.
E lo fa con uno stile alto, con una ricchezza e densità
di scrittura che testimonia delle sue precedenti esperienze
poetiche, con una prosa di intensa suggestione che ricorda
la grande lezione di Bufalino e di Consolo. Ritroviamo,
in Maria Attanasio, la tradizione più autentica della
letteratura siciliana, attenta al vissuto, ai problemi della
società e del potere, al dramma della esistenza singola
e collettiva. Ma attenta anche al valore della parola che
denuncia, del linguaggio che interpreta e crea, che permette
la comunicazione e il confronto. Un linguaggio e uno stile
che diventano vita, come vediamo dalle parole che l'autrice
fa dire all'umile cronista. ""La vita" ripeteva
alle donne che maliziosamente gli chiedevano quando si sarebbe
deciso [a sposarsi] "è bella solo se raccontata.
Dentro le parole non c'è freddo, né carestia,
né paura: gli uomini possono soffrire senza dolore,
mangiare senza pane, morire senza morte ". p. 25 Ma
mentre qui la figura del cronista, con la quale si identificava
in qualche modo Maria, affidandogli questa sua dichiarazione
di poetica, diceva, con queste parole, la rassegnazione
e la fuga da un presente "smemorato" e rifiutato,
nell'ultimo Maria stessa si fa cronista, dando voce a un'oscura
militante del PCI, e testimoniando in prima persona. Probabilmente
è cambiato qualcosa, forse oggi è il tempo
di riprendere/rinnovare l'impegno politico ma sicuramente
di dare riconoscimento e valore a una storia che si vuole
dimenticare. Se Maria , in questo libro, racconta una vita,
e si misura in qualche modo con la biografia e con la storia
di questo secolo, lo fa, secondo me, anche a partire da
una consapevolezza storiografica. Le donne sono soggetti
nuovi nella storiografia, ma l'assunzione di questo nuovo
soggetto non ha portato solo ad un cambiamento nella scelta
dei contenuti storiografici : la storia delle donne, per
intenderci. Ha portato soprattutto ad un nuovo modo di guardare
alla storia e di raccontarla. Per far questo la biografia
si rivela di fondamentale importanza e viene sempre più
usata , attraverso le interviste e l'uso quindi delle fonti
orali, nella ricerca. Ciò permette, ad esempio, di
indagare la politica al di là dei suoi aspetti prescrittivi,
di soffermarsi sulla rielaborazione, nell'esperienza quotidiana
del termine politica e dei suoi valori. (Patrizia Gabrielli,
Biografie femminili e storia politica delle donne ) L'approccio
biografico può consentire, se si evitano i rischi
di una identificazione acritica e mitizzante, di situare
al centro del nostro modo di procedere l'esperienza sociale
delle donne non come un'essenza" ma come un perpetuo
va e vieni tra il dato e il vissuto, l'oggettivo e il soggettivo,
ciò che è determinato e ciò che possiede
dei margini di manovra; Potremmo così scoprire, "da
una parte la realtà così com'è e nello
stesso tempo il campo limitato delle possibilità
di cambiamento" I primi anni novanta attraverso le
alcune delle Note a margine, di Rossana Rossanda. , Bollati
Boringhieri Sono le note scritte su "Il Manifesto"
a partire dal marzo 1994, a partire cioè da pochi
giorni prima delle elezioni politiche di quell'anno che
videro la vittoria di Berlusconi Ovviamente il tema principale
è la sinistra, anzi la sinistra "depressa"
di quegli anni . Depressa sarà magari categoria poco
ortodossa , poco adeguata all'analisi politica, ma è
sicuramente termine efficace per quegli anni. "il fascismo
è riemerso come cultura diffusa". Gli italiani
hanno votato a destra non per paura del comunismo, ma consapevolmente,
sapendo chi e che cosa hanno votato : l'imprenditore furbo.(Paure).
La sinistra non ha perso per questioni d'immagine o per
mancanza di miti da somministrare alle masse. "Cari
amici, perdiamo perché siamo incantati dall'avversario.
Di che materia sarebbero fatti i nostri sogni se è
stato un abbaglio credere di dovere e potere cambiare questo
mondo? Su che cosa fonderemmo una comunità altra,
se già sono garantite da questa le ragioni della
libertà? Se non è questione di vita o di morte
per sette degli otto miliardi di persone che fra un po'
siamo, e ormai per un margine crescente delle nostre periferie?
(Destra e sogno) Non è stata la televisione a far
vincere la destra, o almeno non la televisione in sé
né la quantità . La televisione si è
appropriata di uno spazio vuoto, lo spazio vuoto dell'esperienza
politica maturata nei partiti, che si sono voluti leggeri.
Si può fare televisione di sinistra. Blob.(Televisione).Con
l'affermarsi di An non torna il fascismo ma cade la pregiudiziale
antifascista. (Italiani brava gente)]
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