Miltos 
              Sachturis  
            
             
             
               Miltos Sachturis 
               
               Miltos Sachturis è nato a Atene 
                nel 1919, discendente di una ricca famiglia di armatori andata 
                fallita. Domina nei suoi versi il dolore e il pessimismo cantabile. 
                Quando vi parlo raccoglie poesie scritte tra il 1945 e il 1990. 
                Vicino al surrealismo, l'esperienza della guerra lo ha segnato 
                profondamente. Scrive in una delle sue liriche:  
                «Strano bosco incanta la mia voce | 
                  ogni mia parola una goccia di sangue | tutta la mia canzone 
                  un albero | innaffiato dal sangue degli assassini | migliaia 
                  di assassini migliaia di alberi selvatici | strano bosco che 
                  incanta la mia voce». 
                E ancora:  
                «I morti a due passi da noi | stanno 
                  in pace. O siedono calmi | sugli scalini | con una scopa insanguinata 
                  in mano | ma i vivi | hanno teste gigantesche | piene di petrolio 
                  | e le mani unte | di grasso | costruiscono barche di carta 
                  nera | che se ne vanno | una a una | e senza sole | verso il 
                  cielo nero». 
                Il mondo nuovo che esce dalla guerra non è 
                fatto di calce e mattoni ma di cadaveri. Fa paura sentire la gente 
                che dice «noi vogliamo pensare in grande»: c'è un accenno 
                alla vastità degli stermini.  
                «Non ho scritto poesie | nel frastuono 
                  | nel frastuono: | rotolò la mia vita. | Un giorno tremavo 
                  | un altro rabbrividivo: | nel terrore | nel terrore | passò 
                  la mia vita [...]». 
                Il mondo poetico di Sachturis ha il volto 
                ombroso di chi non riesce a ridere, ha solo il sorriso dolorosamente 
                ironico di chi si trova prigioniero. «Quale cannibalismo questa 
                primavera ...» scrive. Il suo stile è fatto di ritmi, assonanze, 
                spesso all'interno di uno stesso verso, le rime che si rincorrono 
                come una eco. 
               
              
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