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Quello della reviviscenza []
è uno degli argomenti più noti del metodo Stanislavskij, su cui le varie
scuole successive hanno dato il maggior numero di interpretazioni e
attuazioni. Anche, uno dei punti su cui è più facile che per l'attore
avvenga l'assuefazione, il crearsi di un cliché:
è famoso il caso di un vecchio attore del Teatro d'Arte che mentre stava
provando un personaggio fu ripreso dal maestro: "Sto attuando il
metodo della reviviscenza", si giustificò l'attore, e Stanislavskij:
"Riviviscenza? cosa sarebbe questa cosa?", facendo finta di
non averne mai sentito parlare. Un modo come un altro per ricordare
come alla base dell'attenzione di Stanislavskij per l'attore vi sia
la lotta contro il luogo comune, il cliché, lo stereotipo dell'abitudine.
Scrive Stanislavskij:
"Ci si può sottomettere
ai desideri altrui, agli ordini del regista o dell'autore, ma li si
eseguirà in modo meccanico, inerte: si possono rivivere solo i propri
personali stimoli e desideri, creati e rielaborati dall'attore stesso,
dalla propria volontà e non da quella altrui" [].
L'obiettivo è sempre quello
di giungere alla verità dell'interpretazione, base fondamentale per
la veridicità di ciò che si rappresenta e per i processi di identificazione
degli spettatori. Nel gesto e nella serie di gesti dell'attore autenticamente
vissuti c'è una verità che genera la convinzione: tale convinzione è
la premessa all'identificazione (e auto-affermazione) dell'attore nel
personaggio: "io sono" il personaggio. La reviviscenza è messa
in moto dal gesto giusto, e una volta che la si attua ne consegue anche
la linea d'azione del personaggio - non è possibile "agire"
all'unisono con il personaggio e "sentire" in dissonanza con
esso. Solo quando si raggiunge questa sensazione di "essere"
nel personaggio si può affrontare lo studio più dettagliato del testo
e la ricerca del "supercompito" del personaggio.
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