Storia della letteratura europea - Torna in homepageStanislavskij: il "sistema": attore e personaggio


 

Il rapporto tra attore e personaggio

Tra attore e vita interiore del personaggio, deve stabilirsi una relazione di tipo analogico. L'interprete, per appropriarsi del personaggio, deve individuare una serie di analogie tra episodi della propria vita e quelle del personaggio. L'attore "deve collocarsi al posto del personaggio per poter in base alla propria esperienza conoscere la sua vita almeno nella sua immaginazione artistica" [[25]].

Non necessariamente l'attore può aver vissuto delle esperienze simili a quelle "vissute" dal personaggio: l'attore deve ricorrere alle "relazioni armoniche" cioè fare riferimento a circostanze che abbiano una maggiore o minore affinità o somiglianza con quelle del personaggio. L'importante è che l'immagine interiore a cui ci si riferisce sia "consonante" con le reazioni del personaggio. Tra le esperienze e le emozioni vissute dall'attore, egli deve intuire quelle che presentano le analogie più feconde rispetto al personaggio che sta costruendo. Analogie che riguardano la sfera delle emozioni, dei pensieri, dei propositi, degli scopi.

L'attore procede alla "scoperta" del personaggio. Nel fare questo costruisce una biografia del personaggio. Stanislavskij chiedeva a volte ai suoi attori di improvvisare pensieri e comportamenti del personaggio in situazioni extra-sceniche. La costruzione della biografia avveniva partendo dalle informazioni presenti nel testo drammatico, o da altre fonti, ma soprattutto colmando le lacune con vere e proprie invenzioni, di azioni esperienze vicissitudini convinzioni. Innestando elementi del proprio vissuto, creando corrispondenze tra i due "vissuti" (quello dell'attore e quello del personaggio).

"Date sfogo all'immaginazione, createvi un magico 'se' e delle circostanze. Essi prenderanno subito vita e si fonderanno con la vita del corpo, evocando le azioni fisiche. Essi contribuiranno inoltre a rendere più convincente ciò che avviene sulla scena. A sua volta la convinzione genera la reviviscenza" [[26]].

Un impegno che coinvolgeva non solo gli attori chiamati a interpretare i personaggi principali, ma anche quelli secondari.

Per l'Otello (Shakespeare) chiese all'attore del personaggio del gondoliere di Desdemona di narrare la propria storia, definire il tipo di rapporto che aveva con la padrona ecc. Sempre per Otello, chiese agli attori di immaginare gli avvenimenti vissuti dai personaggi tra una uscita di scena e l'entrata successiva.

Per Il giardino dei ciliegi (Cechov) chiese agli attori di illustrare gli episodi dell'antefatto dell'opera, improvvisando monologhi durante le prove.

L'obiettivo di queste pratiche non è solo quello di far aderire maggiormente l'attore alla "parte", per potenziarne le capacità "realistiche" rispetto al personaggio, ma soprattutto quello di tentare di scardinare gli stereotipi di recitazione. L'attore deve essere concentrato in qualsiasi momento sul suo personaggio, anche quando non è il suo "turno" di recitazione:

"spesso l'attore cerca di conformarsi alla vita spirituale del suo personaggio solo quando deve pronunciare le battute. Se l'attore deve star zitto per cedere la parola al suo partner, nella maggioranze dei casi la trama spirituale del personaggio si interrompe e l'attore in quella sia pur breve pausa inizia a vivere con i propri sentimenti, poi attende il suo turno e nella replica riallaccia la vita interrotta del suo personaggio […]. Quei momenti 'vuoti' del personaggio, non colmati da compiti creativi e dalla reviviscenza, saranno un'esca pericolosa per tutti i tipi di clichés teatrali, di stereotipi e di recitazione meccanica" [[27]].

Saggio a cura di Barbara Failla

[25] Il lavoro dell'attore sul personaggio / K.S. Stanislavskij, p. 53.

[26] Il lavoro dell'attore sul personaggio / K.S. Stanislavskij, p. 218.

[27] Il lavoro dell'attore sul personaggio / K.S. Stanislavskij, p. 54.


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