Tra attore e vita interiore
del personaggio, deve stabilirsi una relazione di tipo analogico. L'interprete,
per appropriarsi del personaggio, deve individuare una serie di analogie
tra episodi della propria vita e quelle del personaggio. L'attore "deve
collocarsi al posto del personaggio per poter in base alla propria esperienza
conoscere la sua vita almeno nella sua immaginazione artistica"
[].
Non necessariamente l'attore
può aver vissuto delle esperienze simili a quelle "vissute"
dal personaggio: l'attore deve ricorrere alle "relazioni armoniche"
cioè fare riferimento a circostanze che abbiano una maggiore o minore
affinità o somiglianza con quelle del personaggio. L'importante è che
l'immagine interiore a cui ci si riferisce sia "consonante"
con le reazioni del personaggio. Tra le esperienze e le emozioni vissute
dall'attore, egli deve intuire quelle che presentano le analogie più
feconde rispetto al personaggio che sta costruendo. Analogie che riguardano
la sfera delle emozioni, dei pensieri, dei propositi, degli scopi.
L'attore procede alla "scoperta"
del personaggio. Nel fare questo costruisce una biografia del personaggio.
Stanislavskij chiedeva a volte ai suoi attori di improvvisare pensieri
e comportamenti del personaggio in situazioni extra-sceniche. La costruzione
della biografia avveniva partendo dalle informazioni presenti nel testo
drammatico, o da altre fonti, ma soprattutto colmando le lacune con
vere e proprie invenzioni, di azioni esperienze vicissitudini convinzioni.
Innestando elementi del proprio vissuto, creando corrispondenze tra
i due "vissuti" (quello dell'attore e quello del personaggio).
"Date sfogo all'immaginazione,
createvi un magico 'se' e delle circostanze. Essi prenderanno subito
vita e si fonderanno con la vita del corpo, evocando le azioni fisiche.
Essi contribuiranno inoltre a rendere più convincente ciò che avviene
sulla scena. A sua volta la convinzione genera la reviviscenza"
[].
Un impegno che coinvolgeva
non solo gli attori chiamati a interpretare i personaggi principali,
ma anche quelli secondari.
Per l'Otello (Shakespeare) chiese all'attore del personaggio del gondoliere di Desdemona di narrare
la propria storia, definire il tipo di rapporto che aveva con la padrona
ecc. Sempre per Otello, chiese
agli attori di immaginare gli avvenimenti vissuti dai personaggi tra
una uscita di scena e l'entrata successiva.
Per Il giardino dei ciliegi (Cechov) chiese agli attori di illustrare gli episodi dell'antefatto dell'opera,
improvvisando monologhi durante le prove.
L'obiettivo di queste pratiche
non è solo quello di far aderire maggiormente l'attore alla "parte",
per potenziarne le capacità "realistiche" rispetto al personaggio,
ma soprattutto quello di tentare di scardinare gli stereotipi di recitazione.
L'attore deve essere concentrato in qualsiasi momento sul suo personaggio,
anche quando non è il suo "turno" di recitazione:
"spesso l'attore cerca
di conformarsi alla vita spirituale del suo personaggio solo quando
deve pronunciare le battute. Se l'attore deve star zitto per cedere
la parola al suo partner, nella maggioranze dei casi la trama spirituale
del personaggio si interrompe e l'attore in quella sia pur breve pausa
inizia a vivere con i propri sentimenti, poi attende il suo turno e
nella replica riallaccia la vita interrotta del suo personaggio […].
Quei momenti 'vuoti' del personaggio, non colmati da compiti creativi
e dalla reviviscenza, saranno un'esca pericolosa per tutti i tipi di
clichés teatrali, di stereotipi
e di recitazione meccanica" [].
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