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La guerra civile e i sommovimenti
politici del 1917 (la "rivoluzione russa") mettono in crisi
il Teatro d'Arte che sembra trovarsi arretrato rispetto a quanto succede,
anche dal punto di vista culturale. Mentre furoreggia Majakovskij (Misterobuffo, con la regia del rivoluzionario Mejerchol'd) e i giovani si riprendono la rivincita sui "vecchi" e sull'accademismo,
Stanislavskij propone, quasi per forma di sfida, "Caino" di
Byron (che aveva subito il diniego precedente della censura zarista). Fonda
in questi anni addirittura uno "studio d'opera" in collaborazione
con il Bolshoj, nella giusta consapevolezza
della mancanza di professionalità dei cantanti per quanto riguarda la
recitazione. Nella riproposizione del repertorio del Teatro d'Arte di
questi anni, vengono accentuati gli elementi del grottesco, per tentare
un dialogo con il nuovo pubblico, fatto ormai di operai e "quadri"
del proletariato cittadino; mentre le restrizioni finanziarie costringono
a tagli e all'uso di teatri marginali. Domina, nelle iniziative culturali
e teatrali di Stanislavskij e di chi lo circonda un senso di spaesamento.
E' una crisi anche personale: Stanislavskij attore non riesce più ad
affrontare nuovi personaggi e dal 1917 al 1928 (anno in cui si ritirerà
definitivamente dal palcoscenico) non interpreterà più nuove parti ma
riproporrà solo i suoi "cavalli di battaglia". Sulerziskij muore nel 1916 a causa di una
malattia renale, metà della compagnia è decimata [],
alcuni profughi fuggono a Praga dove fondano una succursale del Teatro
d'Arte e divengono esuli: Riciard Boleslavskij (che diventerà Richard
Boleslawski) e Marija Uspenskajia finiscono poi negli Stati Uniti.
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