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Nel 1906 Stanislavskij di ritorno
dalla tournée europea, ha modo di ripensare ai problemi incontrati l'anno
prima profittando di una vacanza sul golfo finlandese. Comincia a pensare
sulla contrapposizione esistente tra il mestiere dell'attore, ripetitivo
e improduttivo, contro cui Stanislavskij pensava occorre lottare, e
la condizione creativa pensata come l'unica molla capace di giustificare
questo mestiere dell'attore. Per raggiungere questa condizione, occorreva
secondo Stanislavskij, la libertà corporale, l'assenza di qualsiasi
tensione muscolare, la completa sottomissione di tutto l'organismo fisico
alla volontà dell'attore, e poi la totale concentrazione di tutto l'apparato
fisico e psichico sul personaggio da rappresentare, senza alcuna preoccupazione
di ciò che c'è al di là della ribalta. Tale concentrazione doveva essere
possibile sia dalla preparazione interiore prima dello spettacolo, sia
da tutta una serie di "se" creativi che permettono all'attore
di credere alla verità fittizia della scena con la stessa sincerità
con cui crede nella verità autentica. Solo con la coincidenza delle
due verità l'attore può cominciare a creare. Il sentimento della verità
deve essere sviluppato dall'immaginazione dell'attore con ingenuità,
credulità infantili: tanto da vincere la menzogna scenica, che porta
con sé la routine, la pigrizia, la noia.
Ma è l'incontro con Sulerziskij, nel 1906, a essere decisivo dal punto di vista pratico. In lui Stanislavskij
trova la persona adatta che gli permette di suddividere in maniera proficua
l'organizzazione di un lavoro altrimenti inaffrontabile da solo.
Il metodo di lavoro e la prassi
pedagogica che Stanislavskij, sulla base della sua esperienza, aveva
cominciato a elaborare, incontrarono molte difficoltà e incomprensioni
nell'essere accettati. Persino i suoi collaboratori del Teatro d'Arte
si mostrarono perplessi nei confronti di Stanislavskij e di Sulerziskij. Fu anche grazie al sostegno di Nemirovic-Dancenko, che Stanislavskij riuscì gradualmente a vincere la diffidenza e ad aprire
il Primo Studio (nel 1912), laboratorio didattico realizzato come parte
integrante dell'attività del Teatro d'Arte, in cui verificare le esperienze
precedenti, le riflessioni, le possibili nuove direzioni di ricerca.
La conduzione dello Studio
fu affidata a Sulerziskij, esecutore attentissimo delle direttive teoriche e pratiche delineate
da Stanislavskij. Se il Teatro d'Arte deve a Nemirovic-Dancenko la validità del suo repertorio,
alla pazienza e alle qualità umane di Sulerziskij si deve se l'idea di Stanislavskij
degli Studi sia stata attuata e portata avanti nel tempo.
Leopol'd Antonovic Sulerziskij, detto Suler (1872-1916), era un personaggio atipico: aveva avuto una
vita avventurosa, era stato pescatore in Crimea, marinaio su navi da
carico che circumnavigavano il globo, imbianchino, bracciante agricolo,
attivista rivoluzionario, accanito tolstojano e amico intimo di Lev
Tolstoj a cui copiava le opere in bella
copia, obiettore di coscienza e perciò perseguitato dal regime zarista.
Era stato incarcerato e deportato. In ogni attività dimostrava passione
e temperamento eccezionali. Sapeva di musica, pittura, canto, letteratura.
Dopo aver organizzato su richiesta di Tolstoj il trasferimento in Canada della
setta dei duchobory, perseguitati
in Russia per il loro rifiuto di ogni violenza (e dunque anche del servizio
militare), tornò a Mosca e si avvicinò al Teatro d'Arte. Fu assunto
nel 1906 come personale collaboratore di Stanislavskij. Nemirovic-Dancenko all'inizio si offese perché non
era stato interpellato, ma poi si convinse: Sulerziskij era disposto a qualsiasi lavoro,
a spostare uno scenario o dipingerlo, fabbricare oggetti di scena, cucire
costumi, sostituire qualche attore assente, ripassare la parte con qualche
altro, fare da suggeritore. Fu su suggerimento di Sulerziskij che Stanislavskij riprese gli
studi sulle tecniche dell'attore per il rinnovamento dell'arte scenica.
Scriverà Stanislavskij di Suler:
"Suler era un buon pedagogo. Sapeva spiegare
meglio di me ciò che mi suggeriva la mia esperienza artistica. Suler amava i giovani ed era lui stesso
giovane nell'anima. Sapeva parlare con gli allievi, senza spaventarli
con concetti astratti, pericolosi per l'arte. Questo lo rese un ottimo
docente del sistema; egli allevò un piccolo gruppo di allievi sui nuovi
principi [...]. Al Primo Studio egli dedicò le sue ultime forze creative,
pedagogiche, morali [...]. Perché egli amò lo Studio? Perché in esso
realizzò uno dei suoi principali scopi della vita: avvicinare gli uomini
tra di loro, creare un'aspirazione comune, mete comuni, lavoro e gioia
comuni, lottare contro la volgarità, la violenza, l'ingiustizia, dedicarsi
alla natura, alla bellezza, all'amore, e a Dio" [].
Scrive Malcovati nella sua monografia su Majakovskij:
"L'idea di teatro di Sulerziskij, così come egli cercò di realizzarla al Primo Studio, anche se non registrata
in nessuno dei testi sacri sul sistema, è forse tra le più splendide,
commoventi utopie che il teatro del Novecento annoveri" [].
Suler con il Primo Studio cercò di attuare
una idea di rinnovamento che solo in parte coincideva con quella di
Stanislavskij. Mentre Stanislavskij si fermava alla sfera artistica,
Suler ne faceva una proiezione esistenziale. Rinnovare il teatro, non
partendo dal teatro/palcoscenico, non dallo studio dei personaggi o
dalla costruzione di scenografie, ma dalla vita vissuta bene. Egli chiese,
e forse in parte ottenne dagli attori-allievi che imparassero con lui
prima a vivere; poi, assimilati quegli insegnamenti, a recitare. Il
sistema serviva non solo al teatro, ma doveva servire a affrontare la
vita prima che il personaggio. Suler si rifiutò sempre di dirigere
uno spettacolo al Primo Studio, proprio perché dirigere, come recitare,
doveva essere il risultato finale di un lavoro a monte. E di questo
lavoro basilare si assunse interamente la responsabilità. Lascerà scritto
in uno dei suoi appunti, raccolti postumi:
"Il talento non può essere
aumentato. C'è un solo mezzo, oltre a una scuola adeguata (il sistema)
necessaria a qualsiasi talento, sia esso straordinario o mediocre, c'è
un solo mezzo per aiutare un talento medio a diventare un buon attore,
un'artista autentico e non un esibizionista delle proprie qualità: ampliare
la sua visione del mondo, approfondire il suo sguardo sulla vita, sviluppare
un più ampio interesse per i problemi filosofici, morali, sociali, lavorare
sull'intuizione in tutti i settori dell'animo umano e della natura"
[].
E ancora:
"Spesso durante le prove
ho pensato che l'attore, quando non gli riesce un passaggio a un personaggio,
non dovrebbe lavorare con il regista, ma diventare regista lui stesso,
cioè mostrare come vorrebbe che si recitasse quel personaggio, o raccontare
a qualcuno come vede il personaggio. Spesso è il regista stesso a rovinare
la genuinità e la freschezza del lavoro dell'attore, lasciandosi trascinare
dalla smania di spiegare, mostrare. Se lo fa male è una perdita di tempo,
se lo fa bene priva l'attore della gioia dell'incontro con il personaggio
e lo spinge a copiare ciò che al regista è riuscito bene. Anche questo
è negativo, molto negativo. Il regista deve avere una grande riserva
di immagini ma essere molto paziente e ricordarsi che prima di tutto
egli è uno specchio: questo è il suo grande scopo
e tutta la sua riserva d'immagini, il suo amore per il testo, la sua
energia creativa sono quell'amalgama che lo trasforma da semplice vetro
che nulla riflette e dunque è inutile, in specchio" [].
Suler si pone ovviamente il problema
degli obiettivi della recitazione sugli spettatori. L'effetto sugli
spettatori che la recitazione deve raggiungere, di catarsi. Una catarsi
che prevede anche effetti emotivi sugli spettatori, ma non isterici:
gli spettatori "piangeranno forse durante lo spettacolo, ma saranno
lacrime completamente diverse, lacrime silenziose e pacifiche, versate
non per esibizione, lacrime nobili di commozione di fronte al bello
e al buono [...], lacrime sul fatto che siamo infelici, che la vita
non è bella, che non sappiamo fare il bene, che non ci amiamo abbastanza
l'un l'altro". Gli attori debbono agire sul pubblico "non
con i nervi sui nervi, ma con l'anima sull'anima" [].
Scriverà Stanislavskij:
"Sulerziskij sognava di creare insieme con
me qualcosa come un ordine spirituale di artisti. I suoi membri dovevano
essere persone di elevate vedute, di idee larghe, di vasti orizzonti,
che conoscessero l'animo umano, che aspirassero a nobili scopi artistici
e fossero capaci di sacrificarsi per un'idea. Sognavamo di affittare
una proprietà, collegata alla città per mezzo del tram o della ferrovia.
Si poteva costruire accanto alla casa principale un palcoscenico e una
sala per gli spettatori dove avrebbero dovuto aver luogo gli spettacoli
dello Studio. Nelle dependences di questo edificio volevamo sistemare gli attori, e per
gli spettatori sarebbe stato necessario organizzare un albergo, così
colui che arrivava, nel prezzo del biglietto, aveva diritto a una camera
per pernottare. Gli spettatori dovevano riunirsi molto tempo prima dello
spettacolo; dopo aver passeggiato nel bel parco, dopo essersi riposati,
aver pranzato nella sala comune che con gli studenti stessi avrebbero
dovuto mantenere, scossa di dosso la polvere della metropoli, purificata
l'anima, il pubblico sarebbe andato a teatro [...]. I mezzi per tale
Studio fuori città si sarebbero ricavati non solo dagli spettacoli,
ma anche dai prodotti agricoli: in primavera e in estate durante la
semina e la mietitura, i lavori dei campi dovevano essere fatti dagli
studenti stessi. Ciò avrebbe avuto una grande importanza per lo stato
d'animo generale e per l'atmosfera di tutto lo Studio [...]. Se oltre
che nella vita dietro le quinte la stessa gente si incontrerà in mezzo
alla natura, nel lavoro della terra, all'aria aperta, sotto i raggi
del sole, le loro anime si schiuderanno, i cattivi sentimenti si dilegueranno,
e la fatica fisica comune agevolerà la loro fusione. Durante i lavori
campestri primaverili e autunnali la vita teatrale si sarebbe interrotta
per riprendere nuovamente dopo la mietitura. D'inverno, invece, nel
tempo libero del lavoro creativo, i membri dello Studio avrebbero dovuto
lavorare sulla messinscena delle opere, cioè, dipingere gli scenari,
cucire i costumi, fare i modelli ecc."
Il lavoro di Sulerziskij con gli attori fu fondamentale.
Dal punto di vista teatrale, furono prodotti anche alcuni spettacoli
[].
Sotto Sulerziskij si formarono alcuni importanti
attori come Evgenij Vachtangov, Richard Boleslawski, e Michail Cechov.
Nel 1924 il Primo Studio divenne
teatro autonomo, con il nome di Teatro
d'Arte Secondo.
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