James 
              Joyce: Finnegans wake  
            
             
             
              James Joyce: Finnegans wake 
               
               Ultima e incompiuta opera di Joyce è 
                Finnegans wake (1939, ma cominciata a partire dal 1922). L'impressione 
                è quella della rarefazione e del caos. Il titolo si riferisce 
                a una ballata popolare irlandese. Fondamentale è la teoria 
                dei corsi e ricorsi di Vico, che ne forma la struttura portante. 
                Un intricato tessuto di simboli e miti convive con la rappresentazione 
                allusiva e trave stita di eventi della realtà contemporanea, 
                contribuendo a susci tare nel lettore un'impressione di insondabile 
                complessità. Il linguaggio, già fortemente manipolato 
                in "Ulysses" mediante la "condensazione" di parole, sembra prescindere 
                qui da ogni normale intento comunicativo per trasformarsi in un 
                magma proteiforme. L'oscurità non è, come nell'ermetismo 
                simbolista, nei nessi soggettivi di immagini né in irripetibili 
                incomunicabili occasioni liriche, ma data dalle allusioni linguistiche 
                che si moltiplicano, deformano ogni elemento della catena parlata. 
                In questo senso "Wake" progredisce nell'assunto espressionistico 
                della rappresentazione dell'Io profondo, e degli stessi collettivi 
                archetipi umani. La struttura formale del nuovo mirabile mostro 
                joyceiano differisce profondamente da quella di "Ulysses" di cui 
                pure porta al parossismo alcuni aspetti. "Wake" ha parti dialogate, 
                gronda di complicate onomatopee e liste burlesche (come "Ulysses" 
                e come in Rabelais), si apre nel finale come flusso senza punto 
                termina le ("A way a lone a last a loved a long the"), ciclicità 
                di flus so ("a commodious vicus of recirculation"...). Non vuole 
                essere una summa stilistica come "Ulysses". L'operazione allusiva 
                si svolge oltre che dall'inglese all'inglese e verso numerose 
                lingue, anche all'interno di esse. L'opera del dublinese, ancorata 
                a Dublino, vuole trascendere i limiti di una sola lingua e raggiungere 
                linguisticamente ogni esperienza umana. L'insieme è oscuro, 
                ma si tratta di una oscurità programmatica, che intende 
                equivalere all'irrazionalità e all'enigmaticità 
                del mondo: un'oscurità rotta però da lampi, dati 
                dalla riconoscibilità che il particola re lettore avverte 
                all'interno del flusso magmatico linguistico, in base alle proprie 
                pertinenze conoscitive. Si tratta nel com plesso di un flusso 
                eracliteo in cui il mondo smarrisce (lingui sticamente) e riacquista 
                (ontologicamente) la propria identità, esempio unico nella 
                storia delle letterature. 
               
              
               
              [1997]
              
             
            
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