Storia della letteratura europea - Torna in homepageJames Joyce: Ulysses


James Joyce: Ulysses


Ulysses (1922, ma Joyce vi lavorò dal 1914 al 1921, pubblicato in originale inglese a Paris in mille copie, il giorno del suo quarantesimo compleanno. Ma solo nel 1933 nei paesi anglosassoni, grazie alla sentenza del giudice statunitense Woolsey che dichiarò l'"Ulysses" «abbastanza vomitevole indubbiamente, ma non tendenzialmente afrodisiaco» togliendo così il bando alla sua pubblicazione) è uno dei libri fondamentali della letteratura moderna. Nacque dall'intento di far rivivere ironicamente le peregrinazioni dell'Ulisse omerico in una sola giornata della vita di Leopold Bloom, ebreo irlandese. Episodi scene e fatti sono costruiti con più o meno evidente parallelismo rispetto all'opera omerica. Il romanzo vuole essere una summa di tutti gli aspetti dell'uomo moderno e dei suoi rapporti con la società. Come osservò *T.S. Eliot, il mito di Ulisse serve a Joyce per dare ordine senso e forma al panorama di "immensa futilità e anarchia della storia contemporanea". "Ulysses" è di volta in volta drammatico farsesco parodistico sentimentale pedante commovente polifonico caotico.
"Ulysses" è il racconto degli avvenimenti vissuti nel corso di una giornata (il 16 giugno 1904) da Leopold Bloom e Stephen Dedalus a Dublino. L'uno è alla ricerca inconscia di un figlio che sostituisca quello che gli è morto bambino, l'altro ha bisogno di una figura paterna che sia per lui punto di riferimento per le sue inquietudini intellettuali. Stephen lascia la torre dove abi ta con Mulligan, disgustato dall'amico. Leopold Bloom dopo aver fatto colazione con la moglie Molly, cantante, si reca a un fune rale. Nel loro andirivieni per la città si incontrano brevemente nella sede di un giornale, alla Biblioteca nazionale e nel quar tiere malfamato della città dove Leopold-Ulisse salva Stephen-Telemaco che, ubriaco, è aggredito da due soldati inglesi. Leo pold si porta a casa Stephen, i due parlano di letteratura, di donne, di assassini e di suicidi. Si fa notte fonda, Stephen se ne va, Leopold si corica. Molly è già a letto. Il romanzo si con clude con un ininterrotto fluire, tra ricordo e sogno, delle im magini che le affollano la mente, immagini del passato, della giovinezza, del primo incontro con Leopold.
Il realismo è portato da Joyce alle estreme conseguenze: Joyce si preoccupa di farci sapere non solo quali abiti indossano i personaggi, quanto pagano le cose che comprano, dove si trovano nei diversi momenti della giornata, quali canzoni popolari canta no, di quali avvenimenti leggono il resoconto sui giornali. La sperimentazione linguistica di Joyce diventa strumento di rappre sentazione naturalistica: adotta un particolare registro lingui stico a seconda del personaggio, e per distinguere i pensieri di un personaggio da un altro; il flusso di coscienza è un dato co stituzionale di ciascuno, approda in ciascuno a esiti differenti in relazione alla sensibilità, alla cultura, al patrimonio senti mentale: così nel flusso di coscienza di Stephen Dedalus c'è una complessa tessitura di immagini poetiche e di memoria di cose lette che manca in Bloom ecc.
L'unità stilistica che era norma narrativa viene rotta per adattarla ai diversi ambienti descritti: l'episodio della biblio teca e quello del bordello sono descritti su registri linguistici diversi. Joyce è in grado di adottare uno stile aulico che si ri fà ai moduli dell'inglese medievale, o uno gergale, o uno da di squisizione accademica.
In "Ulysses" si intersecano influenze provenienti da tutta la cultura dell'epoca. L'attenzione linguistica, la sperimentazione nel senso della dilatazione della parola finalizzata all'amplifi cazione comunicativa, è centrale. Si veda il VII capitolo ambientato al giornale: in quello intitolato "ORTOGRAPHICAL" Bloom ren de e interiormente commenta il rumore della macchina tipografica in maniera onomatopeica: «Sllt. The nethermost deck of the first machine jogged forward its flyboard with sllt the first batch of quirefol ded papers. Sllt. Almost human the way it sllt to call at tention. Doing its level best to speak. That door too sllt creaking, asking to be shut. Everything speaks in its own way. Sllt» L'attenzione per il mondo degli oggetti, la metamorfosi dell'inorganico in parola, trova il suo culmine quando gli ogget- ti acquistano parola nel capitolo sabbatico (XV) che si svolge in un postribolo. Qui il sapone pronuncia un distico, rivolto al li- mone: «We 're a capital couple are Bloom and I: He brightens the earth, I polish the sky» La tecnica che più impressionò dell'"Ulysses" fin dalla sua pubblicazione quasi totale in rivista tra il 1918 e il 1920, fu quella che Valery Larbaud definì "monologue intérieur", il soliloquio in riproduzione diretta dell'Io con se stesso. Joyce stesso disse come un precedente del monologo interiore era nel racconto naturalistico di Edouard Dujardin "Les Lauriers sont coupés" (1887). Ma Joyce va oltre. Si confrontino due capitoli interamente monologanti, quello che ha per protagonista Stephen- Telemaco sulla spiaggia e quello di Molly-Penelope: il primo è un monologo interiore in un certo senso classico, il soliloquio di Stephen si inserisce in un discorso narrativo in tempo storico da cui si smotta senza segnali grafici o sintattici nel discorso interno; il secondo è un flusso di una continuità totale, sprovvisto di punteggiatura tipografica. Si va oltre le rozze "parole in libertà" futuriste: si è nel campo dell'automatismo e delle associazioni (in senso psichiatrico) surrealistiche (ma ancora il surrealismo deve venire).
Non manca l'uso del neologismo e l'inarcamento lessicale e sintattico, l'impiego del macaronico, la citazione di altre lin gue. La poliglottia di "Ulysses" si corona nel macrocosmo del suo aspetto stilistico, includendo organicamente brani narranti, mo nologanti (es. i "says I", "says Joe" del cap.XII), dialoganti, catechistici (il penultimo capitolo a domanda e risposta), in va ri livelli di monologo interiore discreto e a blocco continuo ecc. Partendo da uno staccato realistico-analitico si chiude con l'evocazione di un flusso continuo. "Ulysses" è una summa moder na, dopo la "Commedia" la prima nuova summa della poliglottia, versata espressionisticamente dentro l'Io ("I said yes I will Yes") anziché verso un Fuori mentale. Ma ancora in "Ulysses" siamo all'interno di un poliglottismo applicato in una stessa lingua (l'inglese).
L'importanza storica dell'"Ulysses" è nel recupero del quotidiano che Joyce compie, l'accoglienza di ogni aspetto della vita quotidiana, qualsiasi funzione fisica, qualsiasi pensiero dei protagonisti, al di là di qualsiasi remora moralistica o estetica (ciò per cui l'"Ulysses" fece scandalo all'epoca): per la prima volta la totalità del reale viene accolta in letteratura.
Ed è una realtà desolante e opaca. La giornata è un fallimento per tutti, tutti i rapporti umani nel romanzo sono superficiali o falsi, l'amicizia è simulata, gli uomini deperiscono per la sua mancanza. Solo nell'alcol o nelle fantasticherie (Bloom al bar) si può trovare l'illusione dell'amicizia; l'ubriachezza generale è il tentativo di creare il colore di un ideale comune, capace di unire gli uomini. Anche Molly Bloom, soddisfatta di sé con il suo ozio la sua musica il suo amante segreto, si rivela intristita e irrequieta per mancanza d'amore, che può trovare solo nell'ir realtà dell'illusione. Il "sì" finale, di accettazione della vi- ta, dell'esistenza, è il grido d'orgasmo di una masturbazione. L'"Ulysses" volle essere, da parte di Joyce, anche una summa letteraria. Da questo punto di vista il riferimento a Homeros, parte dell'ideologia e della sovrastruttura dell'opera, è indicativo. La presenza di Homeros nelle letterature occidentali, dopo alcuni secoli di oblìo, è costante a partire dalla "Commedia" di Alighieri. Homeros era il fondatore della tradizione letteraria, oltre che il depositario di una serie di miti. Con Joyce si opera nei confronti del modo di rapportarsi a Homeros uno scarto. Nella stessa produzione teatrale coeva all'"Ulysses", il richiamo al modello classico si avverava a livello tematico: si pensi a "Lutto si addice a Elettra" di O'Neill, alle "Mosche" di Sartre, all'"Antigone" di Anouilh. Nell'epopea dublinese di Leopold Bloom e Stephen Dedalus il modello opera allegoricamente e allusivamente come un'analogia che dalla struttura si protrae all'esperienza e all'esistenza dei personaggi. Joyce nel momento in cui opera un distanziamento, fa coincidere una identificazione. Quando recupera la mitologia della tragedia il drammaturgo moderno evita di assimilarsi ai suoi antichi predecessori: ma la prospettiva del narratore Joyce coincide con la funzione di un Homeros sottratto al tempo, traslato a significare l'autore che si pone come testimone delle avventure della fiction.



[1997]

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