Il
lupo della steppa, di Hermann Hesse
Il lupo della steppa, di Hermann Hesse
letto da Gianluca Dario Gualano
"Il Lupo della Steppa" può essere diviso,
senza snaturarne il senso o la trama in 2 "libri"
o parti che mostrano una sorta d’indipendenza una
dall'altra. La prima parte è una fredda e schietta
critica alla borghesia del suo tempo ed una descrizione
del suo particolare rapporto d’odio e amore con essa.
Hesse è ben conscio dei danni che questa classe
sociale provoca all'interno della società ed è
inoltre consapevole di quanto i valori morali bandiera della
borghesia contribuiscano in realtà ad allontanare
tutte le persone dalla vera strada dei valori. D'altra parte
emerge esplicitamente l'attaccamento di Hesse a questa borghesia,
provenendo egli stesso da codesta classe. Svariati sono
i suoi tentativi di distacco dalla borghesia che però
provocano in lui sofferenza e che spesso lo riportano ad
evocare ricordi del passato attraverso i sensi e alla ricerca
degli standard borghesi. Inoltre questa prima parte presenta
un'ottima descrizione della sua personalità "lupina".
Ossia Hesse parla esplicitamente del suo alter ego sofferente.
Sembra quasi che Hesse sia convinto di una semplice duplicità
presente in lui ma in realtà, come poi espliciterà
nel corso del romanzo, è ben conscio dei molteplici
lati della sua personalità ed in generale di ogni
essere umano. Non uno o due siamo noi bensì dieci,
cento anzi un milione di molteplicità.
La seconda parte, mostra il livello di coscienza superiore
di Hesse: un viaggio psichedelico nel teatro magico del
nostro più profondo Io.Questa parte, intrisa di allegorie
e personaggi allegorici, richiami alle filosofie orientali
e anche alle droghe naturali allucinogene come ampliamento
delle facoltà mentali, di sicuro richiede una lettura
più approfondita e effettuata da diversi punti di
vista.
Vedi per esempio quando Hesse chiama, con completa indifferenza
e nonchalance, uno dei suoi personaggi Tat Tvam Asi. Il
Tat Tvam Asi è una delle quattro grandi massime (mahavâkya)
coniate dai Veda; il Tat Tvam Asi è la terza di queste
sentenze filosofiche: "Io sono Quello".
La tristezza che emerge per il NON senso della vita e
dal suo difficile “rapporto con il rasoio” è
assolutamente penetrante. Hesse fa immergere il lettore,
anzi letteralmente sprofondare in questo non senso della
vita e il suo anelito verso la morte sembra davvero l’unica
cosa sensata a questa folle condanna che è la Vita.
Ricordando infine, come fa Hesse stesso nella nota dell’autore
a fine libro, che “Il Lupo della Steppa” non
è un libro scritto dalle mani di un disperato bensì
da quelle di un credente, permette di comprendere meglio
questo suo anelito infinito verso la Morte: quello di Hesse
non è un libro di un pazzo suicida bensì il
libro di una persona che sente un richiamo troppo forte
da parte del Divino. La storia del lupo della steppa rappresenta,
sì, una malattia e una crisi, ma non verso la morte,
non un tramonto bensì il contrario: una guarigione.
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