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Bertolt Brecht: profilo critico


Brecht è uno dei maggiori drammaturghi della prima metà del secolo, non tanto per la sua teoria e pratica del "teatro epico" ma per la capacità di creare conflitti emblematici, che prendono la parola le figure e i miti capitali del nostro tempo.
Anche l'opera in versi di Brecht, forse più alta di quella teatrale, ha le sue radici nel linguaggio drammatico. Spesso si tratta di monologo, ballata, lied; ma è anche urto di affermazioni, dialettica abbreviata. Più la parola è nuda, corrente, oltraggiosamente "prosastica", più riceve dalla violenza dell'illuminazione cui è sottoposta la capacità di giungere all'incandescenza. Poesia dalle molti voci e pronuncie: da quella rauca o blesa della giovinezza a quella martellante e stridula della maturità fino agli "staccati" atonali degli ultimi anni. E' una lirica che volge le spalle alla tradizione europea del tardo simbolismo e del surrealismo per assumere, come dice Brecht, "il secco 'ignobile' lessico dell'economia dialettica". Ed esplora tutte le possibilità ritmiche che contestino la melodia.
La prosa dell'apologo e della favola, il motto sapienziale e aforistico di Brecht vogliono essere invece un esempio di linguaggio comunicativo e di ragionamento articolato su elementi semplici per lessico e sintassi, ma resi capaci di arricchimento per continua moltiplicazione dialettica. Tipico il caso di in testo come Me-ti libro delle svolte in cui Brecht mima il formulario e l'atteggiamento sapienziale dell'antica saggezza cinese, inserendo apologhi di tipo esopiano (si veda il brano sul «se i pescicani fossero uomini» con le relative conseguenze mica tanto paradossali).



[1997]

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