Federigo
Tozzi
Federigo Tozzi
Nato a Siena l'1 gennaio 1883, orfano di
madre a 12 anni, ebbe difficili rapporti con il padre, di salute
precaria, studi discontinui. Il padre era un tipo autoritario,
di origini e mentalità contadine, tipo piuttosto violento.
Proprietario della trattoria "Il sasso all'arco dei Rossi" e di
un podere subito fuori le mura della città, l'uomo non
ammetteva che il figlio perdesse il tempo dietro letture e studi
che non servivano a niente, inve ce di aiutarlo nella gestione
della trattoria e nel lavoro dei campi. Tozzi passò così
il tempo tra la trattoria e il podere, svolse in modo irregolare
e senza grossi risultati gli studi tec nici. Solo saltuariamente
riusciva a frequentare la biblioteca comunale di Siena. Il risultato
di questa situazione di conflitto fu un carattere particolarmente
rissoso e aggressivo, che lo por tò a una vita disordinata
e scapestrata. Rimasto erede dopo la morte del padre di una considerevole
fortuna, non riuscì a gestire in modo adeguato le proprietà.
Tornò in una situazione economica precaria, proprio mentre
anche la sua vita matrimoniale con Emma Palagi subiva un periodo
di crisi a causa della instabilità sentimentale di Tozzi.
Anche le sue posizioni intellettuali cambiarono profondamente
in quegli anni, passando dalle prime simpatie socialiste a un
acceso cattolicesimo di stampo decisamente reazionario. Morì
a Roma nel 1920.
Esordì con volumi di poesie dannunziane
( La zampogna verde , 1911; La città della Vergine , 1912).
L'incontro con lo scrittore cattolico D. Giuliotti lo avvicinò
a posizioni cattoliche. A Roma conobbe Borgese e Pirandello. Il
suo primo romanzo fu Con gli occhi chiusi (1919, scritto nel 1913),
dove la vicenda di un amore infelice e di una proprietà
in rovina è narrata con modi verghiani e accentuazioni
psicologiche. Bestie (1917, scritto nel '13) è affresco
del mondo contadino toscano.
Nel Il podere (1920-21) si allontana dal
repertorio verghiano: la storia di Remigio Selmi che eredita,
alla morte del padre Giacomo, il podere la Casuccia, nella campagna
senese, rivendicato anche da Giulia, la giovane amante del padre.
L'inesperienza e il carattere debole rendono a Remigio ostili
i lavoranti tanto più quando, nel timore che essi lo ingannino
e derubino, tenta di usare modi più duri. Deve far fronte
ai numerosi debiti lasciati dal padre e, seguendo alcuni interessato
con- siglieri, ottiene un prestito bancario firmando cambiali.
Si fanno avanti sempre nuovi creditori: i soldi non ba stano più,
è necessario mettere un'ipoteca sulla proprietà.
Qual cuno una notte appicca fuoco ai covoni di grano. Si apprende
che Giulia ha iniziato una causa per rivendicare l'eredità,
ha dei testimoni e quando Remigio ricorre a un avvocato per la
difesa, questi gli fa capire che probabilmente perderà
la causa. Odiato dai contadini e soprattutto dal litigioso Berto
che rimprovera al padrone prima l'immeritata fortuna poi l'incapacità
a difenderla, Remigio è condannato a restituire a Giulia
quanto il padre le aveva promesso. La Casuccia dovrà essere
venduta. Sconfitto, Remigio è assassinato da Berto, in
un'esplosione di odio, mentre soli vanno per un lavoro nei campi.
Tozzi pubblicò poi le novelle Giovani
e L'amore (1920). Il ro manzo Tre croci (1920, ma scritto nel
1918) è la storia senese di tre fratelli ossessionati dalle
cambiali: qui Tozzi abbandona l'analisi psicologica per un crudo
registro naturalistico, dal linguaggio preciso e spietato che
assimila moduli sintattici del dialetto toscano. Motivi autobiografici
in Gli egoisti (1923). Di 16 drammi scritti, il migliore è
L'incalco (1923).
Postume sono uscite oltre al Teatro (1970),
il romanzo epistolare Novale (1925) con le lettere scritte alla
futura moglie Emma Palagi nel 1902-3 e 1906-8; i Ricordi di un
impiegato (1927); il romanzo Adele (1979). "Il podere" e gli altri
romanzi non pubblicati in vita, furono pubblicati postumi grazie
a Giuseppe A. Borgese. In lui sono i moduli naturalistici con
incidenza dostoevskijana, fusi in un'ansia analitica che accomuna
la sua esperienza a quelle di Svevo e Pirandello. La sua lingua
è nitida, violenta, "parlata".
Tozzi parte dal frammentismo di Bestie (1917),
raccolta di im pressioni, meditazioni, spunti lirici sulla campagna,
la fatica di uomini e animali, per giungere al romanzo.
"Tre croci" è la storia dei tre fratelli
Giulio Niccolò e Enrico Gambi, titolari a Siena di una
libreria. Nessuno dei tre è in grado di da- re impulso
al commercio, la loro vita è un torbido lasciarsi andare:
Giulio ama la cultura ma trascura gli affari; Niccolò è
instabile nei suoi interessi, non fa niente, soffoca le sue preoccupazioni
economiche nei piaceri della tavola; Enrico è il più
abulico dei tre. Gli affari vanno sempre peggio, non serve a nulla
un prestito giunto ai tre dal buon cavaliere Nicchioli. Cambiali,
scadenze, firme false diventano di casa dai Gambi. Solo le donne,
Modesta e le due giovani nipoti Chiarina e Lola, sono all'oscuro
di tutto: in casa la vita apparentemente continua come sempre.
Con la rovina giunge la vergogna: Giulio si suicida. I due fratelli
rimasti non hanno il tempo di rifarsi una vita perché muoiono
a breve distanza l'uno dall'altro.
Tipo umano costante è l'inetto, una
figura di vinto macerata da una vita strangolatoria che tuttavia
non prevale fino in fon do, permane un segno d'umanità.
E' un uomo malato nella volontà, che ha coscienza della
sua incapacità di vivere, si abbandona al le cose e agli
eventi, se ne fa coscientemente travolgere: così Piero
in "Con gli occhi chiusi", Giulio in "Tre croci", Remigio Selmi
in "Il podere". C'è un fondo auto- biografico, ma anche
un tipo che diverrà costante in tanta narrativa: si pensi
a Borgese e Moravia. La lezione verghiana, di cui in quegli anni
(grazie a un saggio di *Luigi Russo) si riscopriva la validità.
E figure che valgono a rendere non monocorde la rappresentazione
tozziana: come la Ghisola, la contadina fidanzata di Pietro in
"Con gli occhi chiusi", Niccolò e Enrico in "Tre croci",
o il finale di "Il podere" in cui si concretizza una rappresentazione
drammatica e asciutta della violenza degli uomini.
[1997]
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