Storia della letteratura europea - Torna in homepageItalo Svevo


Italo Svevo


1) notizie biografiche

Nato a Trieste nel 1861 (il suo nome era Ettore Schmitz, morì nel 1928 a Motta-di-Livenza [Treviso]), di famiglia ebraica per parte di madre e di padre tedesco, fece gli studi medi in Bavie ra. Nel 1879 si iscrisse all'Istituto superiore di commercio di Trieste ma l'anno seguente, per dissesti economici familiari, do vette impiegarsi in banca dove lavorò per vent'anni. Deluso dalla letteratura Svevo trascorre un lungo periodo di silenzio. Sposa Livia Veneziani, ha un figlio, nel 1899 entra co me socio nella ditta commerciale del suocero di cui assume poi la direzione. Visita per lavoro e vi risiede a lungo, l'Inghilterra, Francia e Germania. Nel 1928 Svevo morì in un incidente automobilistico.

2) opere in vita

Cominciò a pubblicare articoli, abbozzi di racconti, pagine autobiografiche: nel 1890 fece uscire a puntate su «L'Indipendente» il racconto L'assassinio di via Belpoggio .
Nel 1892 pubblicò il primo romanzo, Una vita , lucido racconto del dramma dell'inurbamento di un giovane di campagna che si concluderà con il suicidio. Il romanzo passò inosservato. Stessa sorte il successivo, sei anni dopo, Senilità (1898), d'impianto decadentista: a 35 anni, autore di un romanzo ormai dimenticato, Emilio Brentani pare rassegnato a un'esistenza grigia accanto alla sorella Amalia, non più giovane né bella, ma semplice e buona. Incontra Angiolina, una popolana non perbene ma vivace e intelligente, intreccia con lei una relazione ma non riesce a contenerla nei suoi limiti naturali, si sforza invece di attribuirle un contenuto che l'indole morale di Angiolina non sostiene. Coinvolge nella vicenda l'amico Balli, artista allegro e spensierato, con il risultato che di lui si innamorano sia la sorella che Angioli na. Angiolina gli si dà, Amalia cerca di stordirsi con l'etere e, intossicata, muore. Emilio si acquieterà nell'arida inerzia della senilità. Il romanzo non ebbe alcun successo. Seguì un lungo periodo di silenzio letterario.
Nel 1905 conobbe Joyce che a Trieste faceva l'insegnante di inglese. Solo nel 1923 pubblica un nuovo romanzo, La coscienza di Zeno . Protagonista ne è Zeno Cosini che ha deciso di smettere di fumare e tenta, come estrema risorsa, la psicoanalisi. Seguendo il consiglio del medico fissa sulla carta gli episodi della sua vita che gli paiono più importanti: la penosa fine del padre che, mal intendendo un gesto del figlio, alza la mano contro di lui proprio un attimo prima di morire; il matrimonio con una delle sorelle Malfenti, quella meno che gli piaceva; il suicidio di Guido; la relazione con una povera figliola, Carla Gerco, di cui si stanca presto. Alla radice comune di tutti questi avvenimenti c'è una personalità abulica, incapace di vera partecipazione at tiva, che diventa simbolo dell'elusiva, inguaribile malattia del l'uomo moderno. Nelle ultime righe è la profezia di "una cata strofe inaudita prodotta dagli ordigni" attraverso cui l'umanità, forse, guarirà dai germi di cui si nutre e troverà la salute in un mondo asettico.
Joyce fece conoscere il romanzo al critico V. Larbaud. Nel 1925 ci fu una favorevole recensione di Montale sul periodico «L'Esame». Nel 1926 apparvero su Svevo articoli critici molto positivi dovuti a Larbaud e a B. Crémieux.
Svevo pubblicò ancora il racconto Vino generoso (1927) e la raccolta di racconti Una burla riuscita (1928).

3) opere postume

Postumo è stato pubblicato: La novella del buon vecchio e della bella fanciulla (1930). Si tratta di un racconto con l'andamento dell'apologo e una bonarietà ironica. Storia di un tardivo amore senile (un vecchio innamorato di una fanciulla), dei rapporti economici borghesi (il vecchio borghese che compra i favori della fanciulla povera facendone una mantenuta), dramma della condizione senile, racconto di una iniziazione alla scrittura: il "buon vecchio" inizia a scrivere una monografia sui rapporti tra vecchi e giovani, basandosi sulla propria esperienza, tentando di fare opera generale dei suoi casi privati. Il carattere quasi fa volistico (del protagonista come della fanciulla non sono dati i nomi, quasi a indicare il carattere paradigmatico e simbolico, archetipico, dei personaggi: il medico, la domestica ecc.) e bo nario del racconto non deve trarre in inganno: Svevo delinea con nettezza e acume psicologico la realtà dei rapporti, degli alibi, delle autogiustificazioni che (soprattutto il "buon vecchio" pro tagonista) accampano i personaggi. Un racconto di realismo psico logico, che non smorza la negatività della realtà ma che anzi la sottolinea proprio nel momento in cui interviene il sorriso ironico. E così "la bella fanciulla" simbolo della giovinezza porta alla morte il vecchio, mentre "il buon vecchio" con le sue accortezze di bontà che nascondono l'interesse e il tornaconto è produttore di degrado e corruzione. A sfuggire alla lettura puramente moralistica, è la capacità ironica di Svevo ma anche la stratificazione di motivi e temi, non ultimo quello della scrittura: perché il protagonista del racconto approda alla scrittura da vecchio (notazione metaforicamente autobiografica), e quello che poteva essere un racconto sul rapporto tra vecchi e giovani o sulla vecchiaia, diventa un racconto sulla scrittura, le possibi lità della scrittura. L'obiettivo di morire bene, «non lasciar alcun residuo per la morte che così non arriva ad afferrare altro che un vaso vuoto», una specie di vendetta (sterile) contro la morte: grazie alla scrittura «tutto quanto poteva ardere arse e l'ultima sua fiamma fu la più bella». Ma si tratta di una fiamma tragica: il vecchio muore e l'ultima parola scritta che lascia è una domanda a cui non sa rispondere: «poi affannosamente sotto a quella scrisse varie volte la parola: - Nulla!». La "novella" si conclude con uno smacco: «Lo trovarono stecchito con la penna in bocca sulla quale era passato l'ultimo anelito suo».
Ancora postumi sono i racconti di Corto viaggio sentimentale (1949), Saggi e pagine sparse (1954) che comprendono frammenti di una possibile continuazione della storia di Zeno, un ipotetico quarto romanzo.
Le Commedie (1960) sono sei testi (tra cui soprattutto Il ma rito ) per lo più incentrati sul classico triangolo borghese (la coppia e l'amante), descritto attraverso l'ironia e il paradosso, intrecciato ai temi della malattia e della salute, della vecchiaia e della giovinezza. "Il marito" è datato 1903, protagonista ne è l'avvocato Federico Arcetri con moglie e (ipotetico) amante di lei; all'origine della vicenda è però un altro triangolo, consumato e concluso con un delitto d'onore. Il passato si ripresenta con un nuovo delitto d'onore che l'avvocato è chiamato a difendere, e con un delitto 'in pectore' che non si consumerà perché in fin dei conti quella giovane seconda moglie, che ha finto un legame mai avuto con un amico di casa per vincere l'indifferenza del marito, è stata sposata senza amore. Sullo sfondo, la madre della prima moglie richiede anche per la seconda la stessa sorte della figlia (sempre presente nella casa del marito omicida, in ritratto). I due sposi rimangono insieme continuando la recita di un matrimonio di facciata. Una commedia borghese, poco rappresentata nonostante la grande fama postuma di Svevo nella seconda metà del secolo.

4) l'eccentricità di Svevo

La cultura di Svevo poggia sulla conoscenza dei classici italiani tedeschi e francesi (soprattutto i romanzieri realisti, da Balzac a Flaubert), la filosofia di Schopenhauer e la frequentazione del pensiero di Freud. In lui è il trapasso dal naturalismo /verismo a una descrizione del reale più analitica e introversa. I dati realistici, la raffigurazione dei vari ceti, la rappresentazione dell'ambiente (la Trieste impiegatizia e commerciale), le descrizioni degli accadimenti vanno incontro a una crescente interiorizzazione, usati come specchi per chiarire i complessi e contraddittori moti della coscienza. Al centro delle sue storie è sempre un solo personaggio, un individuo abulico e infelice, incapace di affrontare la realtà e a cui soccombe; nello stesso tempo, il singolo tenta di nascondere a se stesso la sua inettitudine, sognando evasioni, cercando diversivi, giustificazioni, compensi. Svevo smonta l'io del protagonista, rivelando ironicamente e talvolta comicamente la sua fluente instabilità, in cui passato e presente, ricordi e desideri, si intrecciano e condizionano reciprocamente. E' una indagine carica di affetto dolente, quasi il voler salvare dalla estrema umiliazione della condanna il suo eroe negativo, che è in fondo il risvolto irredimibile di noi stessi, e la cui malattia è da assimilare alla crisi di un'intera società priva di valori sicuri. E' un'operazione di inesausto scavo dei moti affettivi e dei tragitti della mente; l'individuazione dei lati tragicamente insensati dell'esistere; l'illuminazione della solitudine e della sconfitta dell'uomo.
La sintassi di Svevo è lontanissima dai formalismi della prosa d'arte. Tesa a uno sforzo di concretezza, ora grigia e faticosa, ora più vicina al parlato, offre un modello di scrittura antitra dizionale.
In Svevo, sia Alfonso Nitti (protagonista di "Una vita") che Emilio Brentani ("Senilità") sono incapaci di affrontare la real tà, si autoingannano, mistificano la propria sconfitta con una serie di atteggiamenti psicologici: Alfonso Nitti si rifugia nel la fantasticheria per giustificare la propria inettitudine. Ed è significativo che "Un inetto" fosse il primo titolo di "Una vi ta". Emilio Brentani si illude di avere sufficienti artigli per aggredire la vita e goderla, disposto anche all'autoinganno (la sua relazione con Angiolina), ma inutilmente, anche lui è un inetto a vivere.
Con "La coscienza di Zeno" sono abbandonati i moduli narrativi tradizionali. Narrando oggi i fatti di ieri Zeno scardina le leggi temporali: il fatto, l'accaduto o l'atteggiamento psicologico, non si presentano univoci ma poliedrici, sfaccettati, con una contaminazione di passato e di presente, una molteplicità di prospettive e valutazioni che si intersecano e sono dovute alle progressive modifiche che quel ricordo ha assunto alla luce dei ripensamenti e delle esperienze posteriori. Tutto questo comporta la necessità di dipanare l'aggrovigliata matassa dell'interiorità, individuarne tutti i fili: l'analisi labirintica. Il personaggio si dissolve. L'accumulo dei ricordi e di ciò che a posteriori si proietta su di essi, non permettono la cristallizzazione di una forma oggettiva da descrivere, ma di un farsi, un fluire soggettivo: è una caratteristica comune a molti autori novecente schi. Dice *Auberbach di questo mutamento novecentesco di pro spettive: "l'autore, quale narratore di fatti obiettivi, passa quasi completamente in secondo piano; quasi tutto ciò che è detto è il riflesso della coscienza dei personaggi".
Mentre Joyce adegua anche la tecnica espressiva all'approfon dimento descrittivo in atto, Svevo risolve con l'uso del discorso indiretto, riferisce impressioni e eventi mediandoli attraverso la rifrazione psicologico del protagonista.
Zeno Cosini, protagonista de "La coscienza di Zeno", è un abulico, segnato dal marchio dell'inettitudine, ma egli ha consapevolezza lucida della sua malattia e del complesso meccanismo di giustificazioni e alibi cui ricorre. Svevo approfondisce la sua diagnosi della crisi dell'uomo contemporaneo, una lucida crisi che esclude la possibilità di entusiasmi e nuove fedi. La condi zione di alienazione dell'uomo è quella di un vinto senza gran dezza, perché la malattia della coscienza e l'inettitudine esclu dono la lotta. E' una condizione non connaturata, ma dovuta a precise ragioni storiche: «La vita attuale è inquinata alle radici. L'uomo si è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinato l'aria, ha impedito il libero spazio [...]. L'occhialuto uo mo inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c'è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comprano, si vendono e si rubano [...]. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come gli altri, ma degli altri un po' più malato, ru berà tale esplosivo e si arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo». Svevo condanna la società in cui vive, ma non vede alternative sul piano effettuale storico. In senso lato è la condanna della società capitalistica occidentale, in senso stretto è la spirale tecnologica nel cui abuso individua il distorcimento, il verifi carsi di una tendenza autodistruttiva dell'umanità. Unica alter nativa è sul piano forse individuale: l'acquisizione della co scienza, la consapevolezza della condizione umana, delle menzogne convenzionali acquisite a tal punto da farci rendere validi gli alibi con i quali mascheriamo le nostre fughe dalla realtà. Dall'accettazione della precarietà deriva la tolleranza, l'auto coscienza, e l'ironia. La consapevolezza si esprime con il sorriso di chi ormai non ha più illusioni.

Bibliografia: Italo Svevo

L'assassinio di via Belpoggio (1890)
Una vita (1892)
Senilità (1898)
La coscienza di Zeno (1923)
Vino generoso (1927)
Una burla riuscita (1928)
La novella del buon vecchio e della bella fanciulla (1930)
Corto viaggio sentimentale (1949)
Saggi e pagine sparse (1954)
Commedie (1960)



[1997]

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