Origine e diversificazione dei generi:
il viaggio nel fumetto
di Thierry Groensteen
Diffuso sotto forma stampata, il fumetto è un prodotto
da libreria, esattamente come la letteratura.
Per questa ragione, ma anche perché esso si vota
principalmente al racconto di finzione, e in più
accoglie in seno degli enunciati linguistici, è stato
spesso descritto come un genere paraletterario (chi lo vuole
screditare dice infraletterario).
Questo malinteso chiede di essere dissipato. In primo
luogo, poiché il fumetto è essenzialmente,
così come il cinema, un'arte di narrazione per immagini.
In seguito, perché non saremmo in grado di applicare
ad esso la qualifica di genere – nel senso, per la
precisione, con cui lo intende la teoria letteraria.
La fantascienza, il giallo, il fantastico, il western,
la farsa, il racconto sentimentale sono dei generi. Essi
si definiscono per un repertorio di temi, di situazioni,
di processi, e per una tradizione indigena che ci lega ad
opere di riferimento (i "classici" del genere).
Il fumetto non è un genere, perché li ingloba
o li attraversa tutti. Ci sono fumetti di fantascienza,
fumetti sentimentali, polizieschi o western a fumetti. Lo
stesso fumetto può aver dato luogo a uno o due generi
originali, in particolar modo, negli Stati Uniti, quello
che costituisce le storie dei super eroi, quei giustizieri
in costume dotati o meno di poteri sovrumani (Batman, Superman,
Spiderman, ecc.). E il racconto di animali, ereditato dalla
fiaba e dalla letteratura infantile, ha prosperato più
che altrove, ispirando al tempo stesso delle memorabili
specie immaginarie (Marsupilami, Manu-Manu, Skblllz e altre
della serie Pilou-Pilou).
Ormai, nessun soggetto è più estraneo o
proibito al fumetto. La sua storia è stata quella
di una diversificazione crescente delle tematiche, di una
estensione continua del suo campo d’indagine narrativa.
Gli specialisti non hanno sottolineato, finora, quanto le
sceneggiature dei primi fumetti sfruttassero certi temi
in numero limitato, sempre gli stessi. Per attenermi all’ambito
francofono, non riconosco che tre grandi tematiche originali:
il Viaggio, il Meraviglioso e la Stupidità. Tenterò
di abbozzare in queste pagine la storia del loro emergere,
del loro combinarsi e delle loro ulteriori ramificazioni.
Primi viaggiatori
Uno degli albi di Rodolphe Töpffer, il padre fondatore,
s’intitola Voyages et aventures du Docteur Festus.
La prima edizione è datata 1840. Nella più
recente, apparsa per Seuil nel 1996, Festus è seguito
da Histoire de M. Cryptogame, recante come sottotitolo la
dicitura (generica): "Due odissee". Non me ne
si vorrà, spero, se qui riprendo il riassunto che
proponevo nella prefazione del suddetto volume.
"Per sfuggire alla corte di tale Elvira, Mr. Cryptogame
si imbarca per il Nuovo Mondo, si butta nel mare, viene
inghiottito da una balena, si arena su un' isola polare,
finisce congelato, poi arrostito, si traveste da Turco,
sfugge per un pelo alla bigamia, viene ridotto in schiavitù
ad Algeri, fugge, e si installa finalmente a Grassois dove
si scopre con otto bambini a carico.
"Il dottor Festus, quanto a lui, intraprende un «grande
viaggio di istruzione» a cavallo di un mulo; non si
allontanerà molto dalla propria comunità,
ma prenderà i mezzi di trasporto più vari,
il cui comune denominatore è di impedirgli di vedere
alcunché. Infatti, egli viaggia in successione sulla
sua cavalcatura (con la sella girata al contrario), in un
baule, in un mucchio di fieno, dentro un albero cavo montato
su quattro ruote, in un sacco di farina trasportato sul
dorso dell’asino, e infine dentro un telescopio gigante.
Dopo essersi svegliato a casa sua dopo uno svenimento, crede
di aver sognato tutta quella folle scappatella."
Come si può vedere, ciascuno di questi due viaggi
contrastati consiste in un lungo susseguirsi di disavventure
strampalate. La loro struttura, di tipo "feuillettonesco",
si caratterizza per il numero e la varietà degli
episodi. Anche questo genere farà fortuna. Nella
produzione quantitativamente limitata di fumetti nel XIX
secolo, i viaggi umoristici ottengono la parte del leone.
Citiamo – di Gustave Doré: Des-agréments
d’un voyage d’agrément (1851), e Voyage
sur les bords du Rhin (anche del 1851, come feuilletton
in "Journal pour rire"); - di Cham: Voyage autour
du monde de M. Cham et de sono parapluie (1852, in "Le
Charivari"); - di Gabriel Liquier: Voyage d'un âne
dans la Planète Mars (1867); di Léonce Petit:
Les Mésaventures de. M. Bêton (1869), senza
dimenticare un racconto di stampo surrealista la cui esecuzione
grafica (anonima) è di una stupefacente modernità:
Le Voyage de M. Blandureau autour du monde (1890-91).
Poi viene Christophe cui il tema del viaggio ispirerà
due celebri serie, dalle premesse antitetiche: la Famille
Fenouillard si mette in dovere di esplorare il mondo intero,
mentre il suo sfortunato cugino, il Savant Cosinus, non
arriverà mai, malgaro tutti gli sforzi, ad uscire
da Parigi (dallo stesso autore, M. Trictrac, eroe di una
storia incompiuta di Töpffer, si proponeva di partire
alla ricerca delle sorgenti del Nilo, senza però
mai lasciare Ginevra).
È dunque per lo meno affrettato affermare, come
Guy Gauthier, che ciò che interessa il fumetto alle
origini è solamente "la gag, la storia breve,
la vita quotidiana, la fiaba", e che esso "non
aderisce veramente all’avventura esotica che [verso
il 1930], scoprendo tardivamente la sua seconda vocazione".
Questa inesattezza non si spiega se non nel fatto che l’autore,
seguendo in questo un certo numero di "storici"
miopi, fa cominciare la storia del fumetto al volgere del
secolo. L’articolo dal quale traggo questa citazione,
tuttavia, interessa direttamente il mio proposito, dal momento
in cui evoca il favore dei racconti di viaggio nella seconda
metà del XIX secolo. La fondazione, nel 1821, della
Societé de Géographie, può essere visto
come il simbolico atto di nascita di questa straordinaria
infatuazione per l’esplorazione del nostro pianeta.
Oltre Jules Verne, che si definiva "L’Alexandre
Dumas della geografia", la maggior parte dei romanzieri
popolari, degli autori per ragazzi e dei feuilettonistes
convergeranno in questo nuovo genere nuovo che è
il romanzo d’avventure esotiche, dove l’eroe
affronta "un ambiente estraneo e ostile". Louis
Boussenard, con Le tour du monde d’un gamin de Paris
(1880), e Paul d’Ivoi, con Les cinq sous de Lavarède
(1903), prefigurano più direttamente ancora eroi
quali Zig e Puce o Tintin, adolescenti senza legami.
Naturalmente, il tema del racconto di viaggio si riveste,
sotto la matita dei disegnatori, di altri accenti rispetto
ai romanzi dell’epoca, spesso saturi di digressioni
a finalità didattica.
Dati i presupposti, il viaggio disegnato sarà inseparabile
dalle altre due tematiche che sono il meraviglioso e l'umoristico;
sia che si tratti di divagazione onirica, di un racconto
satirico, o di una combinazione dei due.
La tradizione del viaggio fantasioso era sufficientemente
stabile grazie a capolavori quali Don Chisciotte, Gulliver
o Il Barone di Münchausen, ma il prototipo del voyageur
pour rire deve essere cercato senza dubbio nel repertorio
teatrale, a fianco del Voyage de Monsieur Perrichon di Labiche
(1860). Ricordiamo, di questo parvenu cinquantenne, che
intraprende il suo primo grande viaggio per mostrare che
ormai ne possiede i mezzi, questo pensiero profondo scritto
sull'albo d’oro dell’hotel. "Com’è
piccolo l’uomo quando lo si contempla dall’alto
della madre (sic) di Ghiaccio!" (ndt: "Que l'homme
est petit quand on le contemple du haut de la mère
de Glace!" "Mère" significa "madre",e
pare che nel nostro caso si giochi sull'assonanza con "mer",
ovvero "mare". Si tratta di un gioco di parole
intraducibile da cogliere nel contesto dell'opera).
Questo parente prossimo di Joseph Prudhomme è, non
c’è dubbio, un antenato diretto di Agénor
Fenouillard.
Il viaggio bizzarro rimarrà a lungo uno dei temi
privilegiati dal fumetto francofono, e, fino al Tour de
Gaule d’Astérix, quasi un genere a sé
stante.
Les Pieds Nickelés, Zig e Puce e Tintin sono dei
"globe-trotters" impenitenti; nelle loro prime
avventure, l’ultimo dei personaggi citati si reca
successivamente nella Russia Sovietica, in Africa, in America
e in Oriente! Prima della Seconda Guerra mondiale, sono
innumerevoli i titoli di albi che si iscrivono nella declinazione
dei Bécassine chez Les Turcs (1919), Bibi Fricotin
fait le tour du monde (1930) e altri come Zozo Explorateur
(1934).
Si deve ugualmente a Jean Bruller, alias Vercors, un gustoso
albo (ingiustamente misconosciuto) d’ispirazione töpfferiana
apparso nel 1931, Le Mariage de Monsieur Laconik, i cui
protagonisti, César Lakonik e Melpomène Carpe,
percorrono separatamente il mondo intero (adottando nel
frattempo due canguri e guarendo dalle loro infermità
rispettive – lui era sordo, lei muta) prima di ritrovarsi
per convolare a giuste nozze.
Dal Meraviglioso alla Fantascienza
Ma torniamo a Mr. Blandureau, questo ex-farmacista che,
in un bel giorno del 1890, si reca con il suo cane Totor
alla stazione di Tripaton-les-Mules per fare il giro del
mondo. La sua odissea prende un corso sempre più
strano fin dal momento in cui, naufragato, è raccolto
da un misterioso palombaro che lo attira nella sua casa
costruita in fondo al mare. Là, il suo ospite gli
presenta successivamente "la Phoquesse, mia moglie"
e "la vedova Phoquesse, mia suocera". (da "phoque",
"foca", ndt). Per quanto sorprendente possa essere
questa unione coniugale tra "un povero assassino che,
per sottrarsi alla ferocia dei giudici, [è] andato
a vivere sul fondo dei mari" e il mammifero acquatico,
essa non fa che anticipare un’ulteriore peripezia
nel corso della quale lo stesso M. Blanureau, prigioniero
di un’isola deserta, acconsente a sposare la scimmia
Gabichette, figlia del re Singe XIV (da "singe",
"scimmia", ndt). La morale della storia sarà
che tutta questa avventura è stata un sogno, da cui
l’eroe si sveglia in extremis.
Il sotterfugio del sogno, già utilizzato in Töpffer,
autorizza tutte le possibili fantasie. Ma, prima dell’esistenza
del turismo di massa e del media moderni, il viaggio stesso
era ancora una potente leva per l’immaginario; quando
non è letteralmente fantasmatico, è perlomeno
"staordinario" (Verne) o "eccentrico"
(Paul d’Ivoi). L’opinione che prevale presso
molti – e gli autori di fiction sono ben contenti
di alimentarla, poiché è la loro fonte di
guadagno – è che, una volta usciti di casa,
tutto diviene possibile! La sola cosa che possa davvero
sorprendere il viaggiatore non è l’inverosimile,
l’inaspettato, ma al contrario il banale, il fatto
di constatare che ciò che egli scopre somiglia, contro
ogni speranza, a ciò che conosce.
Il meraviglioso – cioè, attenendoci alle
parole di Tzvetan Todorov, il soprannaturale da cui il protagonista
non viene turbato, poiché ne ammette la possibilità
– è quindi, all’origine, una dimensione
naturale del mondo ancora sconosciuto, coesistente al sentimento
della scoperta. Non ci sono vere soluzioni di continuità
tra il paese cui appartengono gli intrepidi esploratori,
reporters, scienziati o borghesi, e gli universi paralleli
e magici cari ai classici delle letteratura infantile: il
paese di Oz, Wonderland di Alice, o i giardini di Kensington
(Peter Pan). Il piccolo Nemo di Winsor McCay che percorre
a grandi passi Slumberland, è un viaggiatore dei
sogni allo stesso titolo di Festus o Blandureau.
Volendo essere schematici, la fantascienza non sarà
altro che un’estrapolazione del tema del viaggio,
che si spingerà più lontano nello spazio,
fino ad altri pianeti o galassie, e che si estenderà
ad un’altra dimensione: quella del tempo. Gabriel
Liquier faceva già riferire da un asino il suo viaggio
su Marte nel 1867; Dans le planète Mars sarà
il titolo di un fumetto di G. Ri nel 1915, mentre nel 1929
il pianeta rosso ispirerà a Felix Jobbé-Duval
il suo A la conquète de la planète Mars nelle
pagine di "Cri-Cri". Più tardi, dal 1946
al ’48, Marijac terrà con il fiato sospeso
i lettori di "Coq Hardi" raccontando, con la complicità
dei disegnatori Liquois e poi Dut, come i Marziani hanno
dichiarato la Guerra alla Terra ("Guerre à la
terre").
Il viaggio nello spazio sarà ancora argomento in
Le Rayon Mistérieux di Alain Saint Ogan, che appare
in "Cadet Revue" dal dicembre 1937 al marzo 1939.
Lunga 64 tavole, questa storia vede un giovane reporter
chiamato François sventare i piani di uno scienziato
pazzo che si era alleato agli invasori venusiani con l’ambizione
di diventare "il signore dei due pianeti". Saint-Ogon
aveva già firmato nel 1934 il memorabile Zig et Puce
au XIX siècle – racconto nel corso del quale
i due giovani eroi sono miracolosamente proiettati nell’anno
2000, per mezzo di un semplice pallone stratosferico; tra
le altre sorprese, scopriranno la tomba del loro creatore
e diranno questa frase: "Non era un tipo malvagio ma
era davvero indiscreto! Non potevamo fare alcunché
senza che lo raccontasse a tutti". Ma, una volta di
più, tutta questa avventura si rivelerà essere
nient’altro che un sogno…
Saint-Ogon deve essere considerato come uno degli effettivi
padri del fumetto francese di fantascienza, assieme a Pellon
(René Pellarin), che fa apparire il suo celebre Futuropolis
in "Junior", nel 1937 e ’38, contemporaneamente
a Rayon mistériux. Questa volta, l’azione è
situata totalmente in un futuro lontano. Lo sviluppo che
prende il genere, allora, non ha nulla di fortuito: La Francia
scopre in questi anni trenta le grandi serie di fantascienza
americane che sono Flash Gordon (ribattezzato "Guy
L’Eclair") di Alex Raymond, Buck Rogers di Dick
Calkins e Phil Nowlan, e Brick Bradford ("Luc Bradefer")
disegnato da Clarence Gray su soggetto di William Ritt.
Dai Pionniers de l’espérance di Lécreux
e Poivet a Lone Sloane di Philippe Druillet, passando per
Valérian di Christin e Mezières, Le Vagabond
des Limbes di Godard e Ribera e Les Naufragés du
Temps di Forest e Gillon, la fortuna della Fantascienza
non si smentirà più nel fumetto francese,
e più in particolare una delle sue componenti: la
space-opera, ovvero l’epopea galattica, dove i personaggi,
viaggiatori di una nuova era, si spostano di pianeta in
pianeta a bordo di astronavi. Lo stesso Charlot, o perlomeno
il suo doppio disegnato, diverrà nel 1960, per le
matite di Jean-Claude Forest, un Pioniere interplanetario!
("Pionnier interplanétaire").
Fantascienza, fantastico, meraviglioso: questi generi
daranno vita ad una molteplicità di sistemi immaginari
– pianeti lontani, mondi perduti e altri universi
paralleli. Il fumetto trova nella fabbricazione di nuovi
mondi da esplorare un terreno d’elezione. Quale tentazione
infatti, per un disegnatore (che, contrariamente al cineasta,
non è sottomesso ad alcun vincolo tecnico o economico),
quella di farsi demiurgo e di dare forma a un mondo coerente,
d’inventare contemporaneamente luoghi geografici,
organizzazioni sociali, scenografie, costumi, mezzi di locomozione,
etc.!
L’abbondanza di tali universi nel fumetto francese
è senza precedenti nell’ultima decina d’anni,
in ragione dell’immediato ritorno di favore di cui
gode, in relazione ai giochi di ruolo e ai videogiochi,
L’Heroic Fantasy, questo genere che prende a prestito
dai miti ancestrali dell’umanità, alla pittura
prerafaelita del XIX secolo, ai pulp fantastici, a Tolkien
e ai suoi numerosi illustratori.
Tra le opere moderne che illustrano il tema del mondo
immaginario o parallelo figurano Les Cités Obscures
di Schuiten e Peeters, Philémon di Fred, Olivier
Rameau (Dany e Greg), La Jonque fantôme vue de l’orchestre
(Forest), Rork (Andreas), Les autres mondes (Rodolphe e
Magnin), L’hiver d’un monde (Mazan), Le cicle
de Tai-Dor (Rodolphe, Letendre e Serrano), Horologiom (Lebeault),
Finkel (Gine e Convard) e la "Cité des confins"
di François Bourgeon (Le Cycle de Cyann) –
senza dimenticare i mondi nati all’attività
onirica dei personaggi: Le Garage hermétique di Moebius,
Dans les villages di Cabanes, o ancora Julius Corentin Acquefacque
di Marc-Antoinje Mathieu.
Con la conquista della propria autonomia da parte della
fantascienza e dei suoi derivati, cosa è accaduto
al racconto di viaggio, ovvero del viaggio nel mondo reale
ed attuale? Esso è progressivamente scomparso in
quanto tale, per fondersi nel racconto d’avventura
come una tra le sue componenti. Meglio: ha fornito a questo
genere la sua matrice, semplicemente quella del personaggio
che affronta una serie di prove e ne esce vincitore. Lo
spostamento geografico diventa un elemento contingente:
può succedere che, il quadro dell’azione fisso,
il viaggio sia anzitutto interiore – nella misura
in cui l’avventura rivesta una dimensione iniziatica
e non lasci mai intatto colui che vi si espone. L’avventura,
quindi (influenzata ormai dal cinema hollywoodiano) va rapidamente
a configurarsi secondo modalità molto diverse, a
seconda che l’eroe sia aviatore, giornalista, cavaliere,
cow-boy o detective (e più tardi hostess, esperta
di elettronica, o colpita da amnesia). Riassumendo, sono
la separazione tra l’elemento meraviglioso e la trama
eroico-seriale del viaggio che, negli anni trenta, aprono
lo spazio all’interno del quale vanno a dispiegarsi
i differenti generi che costituiranno a lungo il paesaggio
narrativo del fumetto.
L’impero della stupidità
Eppure, il fumetto ha anche raccolto l’eredità
della caricatura. L’umorismo appare da principio come
la sua naturale inclinazione. Da Töpffer a Saint-Ogam,
gli autori di fumetti per circa un secolo si definiranno
tutti umoristi. Possiamo osservare la medesima vocazione
innata negli Stati Uniti – dove i termini "comics"
e "funnies", che designano indifferentemente i
fumetti a mezzo stampa, indicano senza ambiguità
la missione dei cartoonist: far ridere o sorridere –
come in Giappone, dove l’evoluzione verso una rappresentazione
più "realistica" e la diversificazione
dei temi non avranno luogo che alla fine degli anni cinquanta,
con l’apparizione del gekika accanto al manga tradizionale.
Origine e diversificazione dei generi
Ad eccezione di qualche opera precoce con i tratti della
satira politica (Histoire d’Albert di Töpffer,
Histoire de la Sainte Russie di Doré, Mossieu Réac
di Nadar), il comico, nel fumetto d’espressione francese,
si confonderà con la caricatura, più sorridente
che sarcastica, dei difetti umani incarnati in "tipi".
Prima che il racconto di avventura conduca all’ammirazione
(o addirittura all’identificazione) da parte dei lettori
di eroi positivi, perspicaci e valorosi, paladini del Bene,
difensori della vedova, dell’orfano, della giustizia
e della Patria, i protagonisti del fumetto erano, senza
alcuna eccezione, degli antieroi. I viaggiatori sopra citati
sono uniformemente ridicoli, che si tratti del Dottor Festus,
di M. Plumet (narratore del Voyage d’agrément
di Doré), di M. Beton (che, a tal proposito, "si
ricorda del vuoto della sua esistenza") o di M. Fenouillard.
L’alea delle loro peregrinazioni evidenzia la loro
innata inadattabilità al mondo, il loro accecamento,
la loro incurabile distrazione e, per alcuni, una fatuità
direttamente proporzionale alla mancanza di giudizio. In
breve, è la stupidità che li accomuna.
Ha dei giorni davanti a sé, la stupidità,
e non è evidentemente privilegio dei soli viaggiatori.
I patronimici degli eroi di Cham (che fu il primo discepolo
di Topffer), per esempio, sono sufficientemente espliciti:
citiamo solamente M. Lamélasse (1839) ("la melassa",
ndt), M. Jobard (1840) ("credulone, balordo",
ndt), o ancora Barnabé Gogo (1841) (idem). Il Sapeur
Camember di Christophe manifesta, nella sua infanzia, "il
più completo sdegno per la lettura", ma acquisisce,
"a forza di applicarsi, il talento naturale delle scimmie"
(arrampicarsi sugli alberi). Il suo spirito ottuso non avrà
uguali al di là di Bécassine, il cui vero
nome, Annaik Labornez, si legge senza sforzo "la bornée"
("l’ottusa", ndt). Come per giustificare
nome e soprannome, gli autori (Pinchon e Caumery), ci insegnano
in L’Enfance de Bécassine che alla sua nascita
"il suo naso era così piccolo che lo si vedeva
a malapena. E ciò costernava i suoi genitori…
(…) In effetti esiste la convinzione, a Clocher-les-Bécasses,
che l’intelligenza è proporzionale alla lunghezza
del naso". ("bécasse" significa "oca",
termine utilizzato anche in senso spregiativo in riferimento
ad una persona, ndt).
In ciò che Francois Caradec chiama "i vecchi
fondi dell’allegria francese", certi tipi sociali,
quali i contadini o gli Alverniati, passano per incarnare
la stupidità (cosa che sembra confermare Christophe
quando evoca ironicamente il padre di Camember, di mestiere
coltivatore, la cui intelligenza è stata "ottenebrata
dalla prosaicità dell’attività agricola").
Il fumetto, nella sua opera di denuncia della stupidità
universale, eleggerà qualche bersaglio privilegiato.
Abbiamo già citato il borghese infatuato alla Fenouillard,
un tipo la cui discendenza passerà attraverso Monsieur
Poche di Alain Saint-Ogan e l’Achille Talon di Grag.
Un altro bersaglio ricorrente sarà lo scienziato
distratto, tipo che, dopo Festus e Cosinus, si prolungherà
fino al professor Tournesol – la cui distrazione (e
la sordità) non saranno più, tuttavia, sinonimi
d’imbecillità. I militari e i poliziotti stupidi
saranno una legione. I loro prototipi, prima ancora di Camember,
sono i due babbei che compongono la "forza armata"
in Voyages et aventures du Docteur Festus: George Blême,
detto "la Mèche" ("la miccia",
ndt), e Joseph Rouger, detto l’Amorce ("il detonatore",
ndt). Alla fine del XIX secolo, caricaturisti come Caran
d’Ache, Henri de Sta, Poirson o ancora Léonce
Burret derideranno l’arma, come il rimpianto Bosc
(1924-1973) farà ben più tardi, sotto il regime
gollista.
Per quanto riguarda la polizia, basterà qui citare
i Dupondt, l’ispettore Caponi in Aventures extraordinaires
d’Adèle Blanc-Sec di Tardi, o ancora l’Agent
212 di Kox e Cauvin, divenuto il personaggio di punta della
rivista "Spirou" negli anni ’80. Infine,
l’ultima incarnazione privilegiata della stupidità
sarà il "cognato", questo concentrato di
sfacciataggine, di pregiudizi, di meschinità e volgarità
stigmatizzati da Cabu; più o meno, il termine designava
tanto les Bidochon di Binet quanto, già, Séraphin
Lampion.
Permanenza della stupidità, quindi: un tema eterno
che trova oggi delle modulazioni inedite e gioiose nel notevole
umorista che è Daniel Goossens (Georges et Louis
romaniciers). Ma, così come la fantascienza e le
differenti forme del racconto d’avventura si sono
emancipate dalla tematica originaria del viaggio, il comico
a poco a poco ha diversificato i propri soggetti e i propri
processi. Burlesco, parodia, humour nero, nonsense hanno
trovato nel fumetto un territorio d’elezione; ormai,
i protagonisti dei fumetti buffi non sono più votati
alla stupidità – cosa che, naturalmente, non
impedisce loro di essere, eventualmente, megalomani (il
Chat di Geluck) o insopportabili (Agrippine, della Bretécher).
È tuttavia arduo tracciare delle frontiere tra generi
nel campo dell’umorismo, visto che l'umorismo personale
di ogni autore si esprime con ogni mezzo.
Inadeguatezza dell’albo tradizionale
Se l’avventura reclama una certa ampiezza narrativa,
per trovare alle trame secondarie, ai nuovi sviluppi e alla
suspense, l’umorismo, al contrario, coltiva più
volentieri le forme brevi, che sposano i risvolti dell’aneddoto,
della gag, della strizzatina d’occhio. Se la daily
strip, questa striscia quotidiana che conta generalmente
tre o quattro immagini, resta una forma tipicamente americana,
che non si è mai veramente adattata alle nostre latitudini
(a parte qualche eccezione, come Le Baron noir di Got e
Pétillon o Le Chat già menzionato, non abbiamo
mai conosciuto equivalenti ai Peanuts o a Calvin e Hobbes),
serie di successo come Gaston, Boule et Bill, Cubitus, Léonard,
Achille Talon, La Rubrique-à-Brac, Le Génie
des Alpages o Les Frustrés hanno tutti optato per
la forma breve (nel senso di spazio un po’ più
ampio della striscia, ndt): una o due pagine (più
raramente tre o quattro) per ogni uscita.
Questo fa sì che l’albo a fumetti alla francese,
nella sua forma tradizionale (diversa da quella del comic
book americano, o dai fascicoli che gli italiani consacrano
ai fumetti [in italiano nel testo, ndt] popolari, o dai
manga giapponesi), si rivela spesso un supporto poco adatto:
al tempo stesso troppo striminzito per autorizzare ambizioni
romanzesche, e troppo vasto per coincidere con la dimensione
naturale della storia buffa, della quale offrirà
una collezione arbitraria, una raccolta. Il fumetto umoristico
è concepito per essere gustato sulla stampa, a piccole
dosi quotidiane o settimanali, non in un albo.
E d’altra parte, le sue 46 o 48 pagine sono insufficienti
per sviluppare una trama di qualche spessore; il racconto
che accoglie è assimilabile al romanzo breve o al
mediometraggio, e non può rivaleggiare in quanto
a complessità con un romanzo o a un film standard.
Due strategie concorrenti sono state messe in opera per
aggirare questo freno all’ambizione degli autori.
Da una parte, gli editori hanno creato delle collane specifiche
offrendo loro la possibilità di esprimersi sulla
lunga distanza. I "romans (A suivre)" di Casterman
hanno aperto la via, poi sono venute le collane "Aire
Libre" di Dupuis, "Long Courrier" di Dargaud,
etc.
Queste accolgono più volentieri avventure complete
piuttosto che i volumi di una serie a puntate.
Dall’altra, visto che le serie continuano malgrado
tutto a dominare il mercato, un certo numero di sceneggiatori
ha preso l’abitudine sia di sviluppare una stessa
storia in tre o quattro albi (esempi di queste "serie
limitate": La Balade au bout du monde di Makyo e Vicomte
e La Quete de l’oiseau du temps di Le Tendre e Loisel),
sia di non assegnare più una fine al loro racconto,
che si prolunga, sul modello del feuilletton perennemente
"a seguire", di albo in albo (caso illustrato
soprattutto da Blueberry e XIII). Nell’uno o nell’altro
caso, l’albo non è che un capitolo della storia
proposta, e le dimensioni del supporto non coincidono più
con quelle dell’opera.
Contesto
|
Il testo di Thierry Groensteen è
stato pubblicato in Italia da www.fucine.com,
che ringraziamo per la disponibilità. Traduzioni
a cura di Fabio Bonetti ed Erika Tutzschky.
Thierry Groensteen (1957), belga naturalizzato francese,
giornalista e saggista, è tra i principali
animatori della scena fumettistica francofona, cui
i suoi numerosi saggi hanno fornito un consistente
contributo. Sceneggiatore dagli anni '80 (collabora
con Casterman, con la rivista "Spirou"),
redattore per i Cahiers de la bande dessinée
(per i quali tra il 1984 e il 1988 realizza più
di quaranta interviste e un centinaio di articoli,
di cui alcuni pubblicati anche all'estero) e per il
supplemento letterario de Le Monde (1986-1990).
Dal 1986 al 1989 insegna linguaggio del fumetto presso
l'Institut des Hautes Etudes des Communications Sociales
(già frequentato da studente), e partecipa
ad altre innumerevoli attività.
Tra queste, segnaliamo l'impiego, in qualità
di "consigliere scientifico", presso il
Centre National de la bande dessinée e de l'image
(CNBDI) dal 1989 al 1992, e poi dal 1993 come direttore
del Musée de la bande dessinée.
Tra le sue pubblicazioni, citiamo Système de
la bande dessinée (che gli valse il dottorato
in lettere moderne con menzione nel 1996 e che trova
pubblicazione nel 1999). |
|