Gabriele 
              D'Annunzio: opere 
            
             
             
              Gabriele D'Annunzio: opere 
               
               D'Annunzio debuttò giovanissimo con la 
                raccolta di versi Primo vere (1879), cui seguì nel 1882 
                Canto novo , che uscì con la co pertina disegnata da F.P. 
                Michetti, e nel quale è evidente l'imi tazione di Carducci, 
                temperata da una vena sensuale e naturalistica. 
                 
                Dall'estetismo europeo assimilò ideali di sensibilità 
                e raffinatezza e il gusto del tecnicismo formale. Nacquero così, 
                accanto a alcune raccolte di versi, i romanzi: Il piacere (1889), 
                Giovanni Episcopo (1891), e L'innocente (1892). Soprattutto negli 
                ultimi due si può avvertire la lezione di Tolstoj e di 
                Dostoevskij, ma ridotta da studio del profondo a languida ostentazione 
                del morboso. 
                 
                "Il piacere" è ambientato in una Roma di lusso, tra papale 
                e umbertina. Protagonista è il conte Andrea Sperelli, «ideal 
                tipo del giovine signore italiano del sec.XIX [...] legittimo 
                campione di una stirpe di gentili uomini e di artisti eleganti», 
                la cui massima è «bisogna 'fare' la propria vita come si 
                fa un'opera d'arte». Poeta, pittore, musicista dilettante, ma 
                soprattutto raffinato artefice di piacere, egli ha stabilito la 
                sua dimora nel palazzo Zuccari a Trinità de' Monti: passa 
                le sue giornate tra occupazioni mondane, si circonda di persone 
                eleganti e di oggetti preziosi, lontano dal «grigio diluvio democratico 
                [...] che molte belle cose e rare sommerge miseramente». Andrea 
                è tormenta to dal ricordo di una relazione complicata e 
                sensuale con l'enigmatica Elena Muti, bruscamente troncata dall'improvvisa 
                partenza della donna da Roma. Dopo un breve periodo di isolamento, 
                si tuffa in una nuova serie di avventure, finché un rivale 
                geloso lo sfida a duello e lo ferisce. Si abbandona a una convalescenza 
                «purificatrice» nella villa di una ricca cugina, a Schifanoia. 
                Qui conosce una creatura casta e sensibile, Maria Ferres, moglie 
                di un ministro del Guatemala. Per lei si illude di avere un amore 
                spirituale, ma presto il loro rapporto si intorbida e nel contat 
                to con Maria cerca di riprodurre le sensazioni già provate 
                con Elena, sovrapponendo le immagini delle due donne. Al culmine 
                dell'amplesso, Andrea si lascia sfuggire il nome dell'antica amante: 
                Maria fugge inorridita. 
                 
                "L'innocente" è la confessione di un delitto, esposta in 
                prima persona dal protagonista. Nuova incarnazione del «superuomo» 
                l'ex diplomatico Tullio Hermil tradisce cinicamente la moglie 
                Giuliana relegandola al ruolo di sorella e consolatrice. Solo 
                dopo aver interrotto una burrascosa relazione con la possessiva 
                Teresa Raffo, è assalito da un'ansia sconosciuta di pace 
                e di dolcezza co niugale. Ma si insinua in lui il sospetto che 
                Giuliana lo tradi sca con uno scrittore alla moda, Filippo Arborio. 
                E' l'antefatto. Seguono 51 brevi capitoli in cui la vicenda, piuttosto 
                scarna, viene sostenuta da indugi psicologici, torbidi fantasticamenti, 
                descrizioni di «atmosfere». Soffocato il dubbio che lo angoscia, 
                Tullio va a vivere in campagna, nella casa materna. Un giorno, 
                a Villalisa, la dimora in cui ha trascorso felicemente i primi 
                anni di matrimonio, ritrova pieno e inebriante l'amore della moglie. 
                Poco dopo la rivelazione: Giuliana in un momento di debolezza 
                l'ha realmente tradito e attende ora un figlio concepito con Fi 
                lippo Arborio. Sentimenti contrastanti nell'animo di Tullio: con 
                sapevole di essere lui il vero responsabile del tradimento non 
                può perdonare colei che infinite volte lo perdonò. 
                Prova anzi per Giuliana una passione nuova, morbosa, mista di 
                rabbia e di pietà. Vorrebbe sfidare Arborio a duello, ma 
                lo scrittore è stato colpito da paralisi [!] per cui questo 
                sfogo è impossibile. Nella sua mente sconvolta matura l'idea 
                del delitto. Sopprimere il nascitu ro, unico ostacolo alla sua 
                felicità. Anche Giuliana, più che mai innamorata 
                del marito, sfinita da una gravidanza dolorosa, accetta tacitamente 
                l'atroce soluzione. Il bimbo nasce, odiato da Giu liana e da Tullio, 
                ma protetto dalle cure dell'ignara nonna e del padrino Giovanni 
                di Scordio, un contadino fedelissimo di casa Hermil. Una sera, 
                mentre tutti i familiari si sono recati alla novena di natale, 
                Tullio sacrifica l'«innocente» esponendolo al gelo invernale. 
                 
                Dalla stessa vena estetista nacquero i versi del Poema paradisiaco 
                (1893) che anticipa in modo notevole, soprattutto dal punto di 
                vista della versificazione, modi che saranno tipici della poesia 
                crepuscolare. 
                 
                Nel periodo immediatamente successivo D'Annunzio volle colmare 
                un vuoto morale, di cui egli stesso avvertiva il rischio, con 
                il mito del «superuomo» desunto da Nietzsche. Solo che alla "volontà 
                di potenza" teorizzata dal filosofo tedesco, nel quadro di una 
                distruzione della morale comune e di una rifondazione, D'Annunzio 
                sostituì ideali estetizzanti, destinati a comporre l'abbagliante 
                mosaico di una «vita inimitabile». Appartengono a questo periodo 
                i romanzi Il trionfo della morte (1894), Le vergini delle rocce 
                (1895), e Il fuoco (1900). E i drammi La gloria (1899), e La cit 
                tà morta (1899) e La Gioconda (1899) scritti durante la 
                relazione con Eleonora Duse. 
                 
                Nel periodo di 'ritiro' nella villa di Settignano scrisse al cune 
                delle sue opere maggiori: i primi tre libri ("Maia", "Elet tra" 
                e "Alcyone") delle Laudi del cielo, del mare, della terra, degli 
                eroi , che fu poi pubblicata nel 1903. E le tragedie Francesca 
                da Rimini (1902), La figlia di Jorio (1904) , La fiaccola sotto 
                il moggio (1905), La nave (1908), Fedra (1909), Più che 
                l'amore , e il romanzo Forse che sì forse che no (1910). 
                 
                "La figlia di Jorio", edita con frontespizio di A. De Carolis 
                uno dei più innovativi disegnatori del tempo che collaborò 
                per molte delle opere di D'Annunzio contribuendo a caratterizzare 
                in maniera visiva i suoi libri (aspetto questo su cui D'Annunzio 
                te neva particolarmente) e stampato dal solito Treves, che fu 
                l'edi tore di D'Annunzio, è una tragedia in tre atti, in 
                versi sciolti. La vicenda si immagina «or è molt'anni» 
                in terra d'Abruzzo. In casa di Lazaro di Roio si festeggiano le 
                nozze del pastore Aligi con Vienda di Giave, quando sopraggiunge 
                Mila di Codra, la putta- na dei campi figlia dello stregone Jorio, 
                inseguita da una folla di mietitori «briachi di sole e di vino». 
                Le donne incitano Aligi a scacciarla, ma Aligi, aiutato dalla 
                sorella Ornella, la protegge perché ha visto piangere l'«Angelo 
                muto» simbolo dell'innocenza. Preso da un mistico amore, il trasognato 
                giovane lascia la casa e la sposa per andare a vivere con Mila, 
                in castità, sulla cima della montagna. Vorrebbe andare 
                a Roma a chiedere al papa l'annullamento delle nozze non consumate. 
                Ma un giorno sale al loro rifugio Lazaro, il torvo padre di Aligi, 
                che vuole possedere Mila con la forza. Il figlio si oppone, e 
                lui lo fa legare e por tare via dai suoi contadini. Si getta poi 
                brutalmente sulla don na. Aligi, liberato dall'ignara Ornella, 
                riappare sulla soglia: sconvolto dalla scena che vede, uccide 
                Lazaro. Il popolo condanna il parricida a morire affogato, chiuso 
                in un sacco con un mastino. Ma Mila si accusa del delitto e giura 
                di aver stregato l'amante inducendolo a credersi colpevole. Aligi 
                la smentisce, ma poi, smemorato da un narcotico somministratogli, 
                si lascia convincere e maledice la «strega». Tra gli urli e gli 
                insulti della folla, Mila viene trascinata al rogo. Solo Ornella 
                che «sa», perché «ha visto», ha pietà di lei e la 
                chiama «sorella in Gesù». 
                 
                Il titolo del romanzo "Forse che sì forse che no" riprende 
                un motto più volte ripetuto all'interno del labirinto che 
                decora il soffitto del Palazzo Ducale di Mantova. E' il segno 
                dell'ambiguità che lega i protagonisti. Paolo Tarsis è 
                un aviatore (siamo nel 1910 e essere aviatori era qualcosa di 
                estremamente esotico e curioso), un tipo volitivo ma schiavo dell'amore 
                sensuale di isa bella. Vana, sorella di Isabella, vergine scontrosa 
                e ultrasensi bile, ama a sua volta Paolo appassionatamente. Tra 
                Isabella e il fratello Aldo c'è una intesa segreta e esclusiva, 
                che turba for temente Paolo. Vana, gelosa di Paolo come pure dei 
                fratelli, de nuncia a Paolo un rapporto incestuoso tra Isabella 
                e Aldo. Paolo nonostante l'orrore, non sa però staccarsi 
                dall'amante. Vanna si uccide. L'improvvisa, terribile pazzia di 
                Isabella restituisce Paolo a sé stesso e ai suoi compiti 
                di aviatore. 
                 
                Durante l'"esilio" francese scrisse tra l'altro, in un prezioso 
                francese, il dramma Il martirio di san Sébastien (Le martyre 
                de Saint Sébastien, 1911) musicato da Debussy. E il quarto 
                libro delle "Laudi" ( Merope , 1912) che raccoglie anche le Canzoni 
                delle gesta d'oltremare celebranti la conquista italica della 
                Libia. Al mito del superuomo tende ora ad affiancarsi il mito 
                della super nazione, chiamata dal 'destino' all'impero. 
                Del 1916 è il romanzo La Leda senza cigno . 
                 
                Durante la degenza per la ferita all'occhio, in guerra, scrisse 
                Notturno  (1921), opera in prosa che caratterizza un 
                momento di ripiegamento su sé stesso e contiene alcune 
                delle sue pagine migliori e vibranti. 
                Nell'ultimo periodo della sua vita continuò a comporre 
                opere, per lo più rievocative e autobiografiche: Il venturiero 
                senza ventura (1924), Il compagno dagli occhi senza cigli (1928) 
                ecc. 
                 
                Tra le sue varie attività un certo posto occupa il suo 
                interesse (pagato) per il cinema. Collaborò alle didascalie 
                di "Cabiria" (1914) di Pastrone, di cui per ragioni di pubblicità 
                si assunse la paternità. Non disdegnò altre collaborazioni, 
                come quella a un film di propaganda come "Non è resurrezione 
                senza morte" (1922) fortemente anti-serbo e che vide la collaborazione 
                di alcuni esuli montenegrini (la regina italiana era montenegrina). 
                Anche suo figlio Gabriellino D'Annunzio, si dedicò al cinema. 
              
               
              
               
              [1997]
              
             
            
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