Anton
Pavlovic Cechov: Valutazione critica
Anton Pavlovic Cechov: Valutazione critica
Il nome di Cechov non è legato a
nessuna scuola o movimento. Scrittore ferocemente introverso,
visse in un periodo in cui in Russia imperversava la reazione,
e la vita intellettuale e letteraria attraversava una fase di
ristagno. La sua narrativa e il suo teatro sono anche un accorato
atto di accusa con- tro la società del suo tempo.
Lo stile di Cechov, semplice e sobrio, è
modellato sul tragico quotidiano, cioè sulle minute pene
dell'esistenza umana. *Tolstoj lo paragonò a un tipo di
pittura in cui le pennellate sembrano messa a caso: «come se non
avessero alcun rapporto tra di loro», mentre guardando da lontano
si coglie «un quadro chiaro, indiscutibile». Soprattutto nei racconti
Cechov compone una struttura sinfonica in cui i temi vengono enunciati
e messi in relazione tra di loro ma senza che la loro potenzialità
emotiva sia mai interamente sfruttata: in ciò consiste
il fascino irripetibile e struggente del discorso.
Elementi essenziali dei quattro ("Il gabbiano",
"Zio Vanja", "Le tre sorelle", "Il giardino dei ciliegi") maggiori
drammi ce choviani sono: l'attitudine rassegnata e dolente di
fronte a un ineluttabile sempre sottinteso; l'attenzione quasi
morbosa per il dettaglio psicologico aberrante e rivelatore; la
capillare rico struzione di atmosfere più che di vicende.
Questi elementi si esaltano e si cristallizzano in un tipo di
rappresentazione- narrazione che, escludendo il 'protagonista',
instaura sulla scena una specie di ideale livellamento. I personaggi
di Cechov subiscono una specie di estraneazione che li rende incapaci
di par larsi. In questo senso il teatro di Cechov esaspera l'intrinseca
staticità del teatro realista russo e anticipa motivi successivi
della drammaturgia occidentale europea e nordamericana. La scena
cechoviana, nella quale tutti attendono, in preda a un abulico
sonnambulismo qualcosa di mai nominato ma sinistramente incomben
te, è l'antecedente necessario della scena di Beckett,
nella quale gli stessi silenzi e gli stessi vuoti di comprensione
alludono a qualcosa di altrettanto innominato, ma ormai irrimediabilmente
accaduto.
[1997]
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