Il mezzo librario nel XV secolo
Il mezzo librario nel XV secolo
La diffusione della cultura (e dunque anche
della fiction) continua a essere nel XV secolo affidata prevalentemente
alla trasmissione orale per gran parte di essa, mentre la cultura
dotta e specialistica si affida al libro manoscritto e all'epistolografia.
Uso della scrittura fanno i mercanti e le amministrazioni, dando
luogo a una produzione finalizzata a obiettivi pratici. Seguendo
un processo di arricchimento e di alfabetizzazione iniziato già
fin dal XIII secolo, nel XV secolo e specialmente nella ricca
Italia del centro e del nord, centri di produzione libraria sono
innanzitutto le città universitarie. Le necessità
di dover riprodurre i testi, soprattutto quelli su cui poter studiare
ma anche quelli di devozione e di evasione, ha fatto sorgere botteghe
scrittorie, in cui i codici sono riprodotti per la diffusione.
Addetti alla scrittura trovano posto presso i notabili e le amministrazioni.
Fino al XV secolo il libro signorile è
considerato un bene, pił che un oggetto per la lettura. Nel medioevo,
con il contrarsi dell'alfabetismo, il libro diventa custode di
un contenuto accessibile a pochi, misterico. Caricato di nuovi
significati dal cristianesimo, si impone con l'autorità
del testo. Si trasforma in oggetto d'apparato, arricchito di ordini
decorativi, magari scritto con inchiostro d'oro o d'argento, su
pergamene tinte di porpora, rilevato con piatti d'avorio o di
metalli preziosi tempestati di gemme. Il libro è posseduto
da re e signori, pił dediti all'uso delle armi che alla lettura
(l'analfabetismo dilaga tra i ceti dominanti), la cui pratica
è riservata a pochi dotti, o a qualche rara dama. Il libro
raggiunge qualità grafica e artistica, come la Bibbia di
Carlo il Calvo: simbolo di prestigio, di lusso, da offrire alla
meraviglia. O serve a celebrare avvenimenti particolari, come
il cosiddetto Evangelio di Godescalco, commissionato da Carlo
Magno e dalla moglie Ildegarda per ricordare il giorno battesimale
del loro figlio Carlomanno. Ricevuto in dono o donato, può
servire a rinsaldare relazioni diplomatiche, favorire mediazioni
ecc. (come nel caso della Bibbia di Viviano). Quando nel castello
di Chambery fu redatto nel 1498 l'inventario dei libri dei Savoia,
questi erano contenuti in 15 casse di varia foggia, mescolati
a armi spade balestre specchietti scacchiere figurine su legno.
Da sottolineare il posto in cui erano custoditi - le casse - e
insieme a quali oggetti. A partire dal XIII secolo è l'uso
del libro come oggetto di svago - oltre che di devozione con le
varie bibbie e i "libri d'ore" (i libri di predicazione
dei laici) -. Dovuta talvolta a mani di virtuosi della miniatura
come i fratelli Limbourg, Jan Van Eyck, Jean Fouquet, Jean Bourdichon,
strepitosa è la decorazione di questi libri, con le loro
scene di dedica in cui gli stessi re compaiono raffigurati, le
loro immagini di sequenze cristologiche, di storie di santi, di
penitenze devozionali, di tornei e battaglie, di amori cortesi,
di cavalcate e di feste, di letture domestiche e di intrattenimenti
musicali. Fiori frutti uccelli farfalle sono disposti lungo i
bordi decorativi, ispirati a una natura oscillante tra verosimiglianza
e artificio. In Francia all'epoca di Carlo V (1364\1380) la coscienza
della qualità estetica del libro è ormai chiara.
Si veda il Breviario di Filippo IV il Bello, che pił tardi fece
parte della biblioteca di Carlo V: grafismo gotico di straordinaria
eleganza, illustrazioni raffinate. Nell'inventario dei libri di
Carlo V, redatto nel 1380, viene descritto come: «un grant bréviaire
entier, très noblement escript et très noblement
enluminé et ystorié»: assai nobilmente decorato
e istoriato. Di Carlo V viene creata una nuova immagine nella
decorazione del libro: il sovrano seduto tra i suoi libri, atta
a rappresentare il 're saggio' nella pienezza del suo potere e
della sua vita intellettuale. Carlo V e suo fratello il duca di
Berry, seguono, nel loro rapporto con il libro, una tradizione
che era stata propria delle donne di famiglia reale: Giovanna
d'Evreux, Giovanna di Navarra, Giovanna di Borgogna. Una tradizione
femminile proseguita poi con un numero notevole di donne- bibliofile:
a casa Savoia si pensi a Agnese (moglie del conte Guglielmo di
Ginevra), Maria (moglie di Filippo Maria Visconti), Bona (moglie
di Galeazzo Maria Sforza); o ad alcune donne sposate dai Savoia:
Bianca di Borgogna, Margherita d'Austria, Margherita di Valois.
Il duca di Berry (fratello, come detto, di Carlo V) fu un appassionato
amatore di bei libri: li prediligeva di gran formato, vergati
in una scrittura di modulo ampio. Le sue Grandes Heures, sono
un libro di penitenza da sfogliare guardare e gustare, strumento
di rappresentazione e di autorappresentazione: vi appare lo stesso
duca accolto sa San Pietro sulla porta del Paradiso. Nella stirpe
reale francese la tradizione bibliofila continua con i duchi di
Orléans, Luigi, sua moglie Valentina Visconti, il figlio
Carlo che può essere considerato il fondatore della biblioteca
del castello di Blois, dove gli Orléans si sentivano pił
al sicuro che a Paris, e che divenne poi biblioteca reale con
Luigi XII (succeduto a Carlo VIII di Valois, 1484\1498). Carlo
d'Orléans cerca e ricompra a London i bei libri appartenuti
a Carlo V e andati dispersi durante la "guerra dei cento
anni". Fu probabilmente con lui che entrò nella biblioteca
di Blois uno dei capolavori della produzione libraria carolingia:
l'Evangeliario di Lotario I, scritto e decorato a Saint-Martin-de-Tours
nell'849-851. Carlo VIII fa restaurare la biblioteca di famiglia,
commissiona molti libri, tra cui molti preziosissimi incunaboli.
Si pensi alla cosiddetta "Mer des histoires" del c.1488,
il primo libro a stampa entrato nella biblioteca di Carlo VIII,
illustrato a mano con le storie dei re di Francia, e tirato su
pergamena così finemente lavorata da non superare lo spessore
della pił fine carta del tempo. Nella sua biblioteca entrò
a far parte anche l'esemplare fiorentino dei "Trionfi"
di Petrarca, trascritto da Antonio Sinibaldi nel 1476 e decorato
da Francesco d'Antoni del Chirico, e fornito di una rilegatura
preziosissima: esemplare già appartenuto a Lorenzo Medici
e donato al re di Francia dalla città di Firenze. Ed entrano
i libri risultato del bottino di guerra. Carlo VIII porta con
sé da Napoli una immensa quantità di libri dei re
d'Aragona. Luigi XII fu forse il pił bibliofilo di questi re,
prendendo come suo modello l'imperatore-filosofo Marco Aurelio.
La sua fu una vera e propria politica in favore del libro (di
lusso): tra il 1498 e il 1515 sono molti i libri di pregio che
entrano nella biblioteca di Blois. Tra essi, l'esemplare petrarchesco
contenente la traduzione francese del "De remediis utriusque
fortunae", ornato di 15 grandi illustrazioni a piena pagina
costruiti come dei quadri dentro una cornice. Come bottino di
guerra, viene incamerata la biblioteca degli Sforza, proveniente
da Pavia. Nella stessa epoca una straordinaria raccolta bibliofila
fu costituita da Mattia Corvino, re di Ungheria (1458\1490): i
libri commissionati da questo re umanista raggiungono vette non
solo della calligrafia e della decorazione, ma anche dell'arte
della legatura. Ormai dispersi tra diverse biblioteche del mondo,
si sono potuti riconoscere ben 492 manoscritti e 5 incunaboli
appartenuti a questo re. Bibliofili furono anche molti re spagnoli:
Alfonso X il Saggio con i suoi libri della "Cantigas de Santa
Maria", e Isabella la Cattolica. Noto bibliofilo era Filippo
II (1556\1598): tipo lugubre e tenebroso, passava dalle esaltazioni
funeree ai piaceri e ai tormenti, macerandosi nelle letture sacre.
La sua raccolta personale costituì il primo nucleo della
pił grande biblioteca pubblica da lui fondata a San Lorenzo de
El Escorial.
Nel XV secolo importante evento fu la biblioteca
degli Aragona a Napoli (poi razziata da Carlo VIII). Inizialmente
essa era una raccolta di libri, di re bibliofili, priva di un
preciso progetto culturale e finalizzata all'acquisizione di bei
libri di devozione e intrattenimento. Nella Napoli aragonese questa
biblioteca si trasforma in biblioteca di Stato, innestandosi in
essa il modello umanistico della biblioteca pubblica, nel momento
in cui Alfonso Aragona e la sua corte volevano conferire una certa
'immagine' alla monarchia instaurata a Napoli nel 1442. I libri
furono materialmente sistemati in alcuni locali ai piani superiori
di Castelnuovo, costituendo una vera e propria biblioteca aperta
alla pubblica consultazione e nella quale si tenevano anche pubbliche
letture. Sempre pił entrarono autori classici, in quanto cardini
della formazione umanistica. I nuovi esemplari furono improntati
alle fogge librarie umanistiche pił eleganti e ricercate. Sia
sotto Alfonso che sotto il lungo regno di Ferrante, accanto alla
biblioteca (come presso le altre biblioteche di Stato) funzionava
un corpo di scribi, miniatori, rilegatori stipendiati per produrre
manoscritti di lusso, sia per la biblioteca che per uso privato
del sovrano e dei membri della famiglia reale. Tra i tanti codici
miniati presenti in questa biblioteca, da segnalare "Il Paradiso
di Dante Alighieri", miniato nel c.1445 proprio per la biblioteca
del re di Napoli dal senese Giovanni di Paolo (c.1399\1482). Sono
61 miniature che non ritraggono solo Dante e Beatrice, come fanno
in genere i primi manoscritti miniati, ma anche i vari personaggi
che si incontrano. E' un piccolo capolavoro artistico che mostra
come il poema alighieriano venisse interpretato verso la metà
del XV secolo. Il codice (chiamato "Yates- Thompson")
finì poi al British Library of London.
I codici miniati
Un particolare aspetto riguarda la produzione
dei codici miniati, cioè arricchiti di disegni e pitture.
Siamo in un territorio di confine tra arte pittorica e scrittura.
Il libro illustrato rimanda a una produzione colta, e a una committenza
ricca. Si tratta di ricchi privati (uomini di chiesa, umanisti,
signori), o istituzioni private (la chiesa cattolica: vescovati,
pontefice ecc.) che promuovono la committenza di questi libri
illustrati, tenuti come opere d'arte e come tali custoditi e conservati,
oggetto di prestigio, singolo di status sociale. Non si tratta
solo di libri illustrati. Già tra i secoli IV e VI, in
europa occidentale, nel libro illustrato il repertorio iconografico
tende a perdere la sua funzione puramente decorativa per porsi
come complemento esplicativo del testo, con un suo ruolo autonomo
sottolineato dalla tipologia dell'illustrazione disposta a piena
pagina, in quadro singolo o a registri sovrapposti, isolata dal
testo scritto. Una tipologia sconosciuta (a quanto ne sappiamo)
al libro antico greco-latino. E' il segno delle profonde trasformazioni
sociali e culturali. L'immagine viene caricata di una vera e propria
funzione pedagogica, da parte di una chiesa che non poteva disporre
di un proprio personale interamente alfabetizzato, e ansiosa di
comunicare il suo messaggio agli analfabeti. E' il periodo in
cui la comunicazione, non solo scritta o orale ma anche sociale
diventava sempre pił difficile per l'irrompere sulla scena di
"gentes" nuove, i "barbari" con il problema
di acculturazione e di mutamento degli statuti culturali che essi
ponevano. Il "manifesto" di Gregorius Magnus non lascia
dubbi: quanti mancano di istruzione, gli «ignorantes», il «populus
imperitus», possono vedere nelle immagini quel che non sono capaci
di leggere nei libri. L'immagine è per essi testo, scrittura.
L'immagine deve così disporre gli elementi secondo schemi
iconografici tali che possa "leggerli" come una scrittura.
Fondamentali diventano le regole grammaticali icnografiche, i
dispositivi iconografici che standardizzano pose e elementi simbolici,
i "dispositivi di riconoscibilità": le architetture,
gli arredi, le vesti, gli oggetti, i gesti, i simboli, le formule,
le opposizioni e le simmetrie, le concatenazioni. Un esempio banale:
l'aureola posta dietro il capo dei personaggi ritenuti santi.
Questi dispositivi assumono la funzione di citazioni, "exempla",
partizioni, come si incontrano nella costruzione e nella presentazione
del testo e che guidano nella comprensione del discorso. In questa
prospettiva, pedagogia e autonomia dell'immagine procedono di
pari passo sollecitandosi e condizionandosi a vicenda. L'immagine
produce un suo discorso figurale con funzione educativa: in maniera
pedissequa o speculare rispetto a quello del testo, svolgendo
un ruolo complementare o sostitutivo; oppure funzionando da commentario,
esplicitando quello che nel testo rimane sottinteso, o sottolineando
passi particolari enfatizzandoli, o riassumendo in un unico quadro
una molteplicità di episodi, o orientando con scene mirate
la lettura secondo determinati significati allegorici e/o ideologici,
o ancora facendo trasmigrare da un testo a un altro diverso adattandosi
a contenuto e esigenze di quest'ultimo. Un esempio di quest'ultimo
tipo lo possiamo trovare nella Bibbia di Viviano, prodotta nel
c.850 in ambito carolingio: la scena sul frontespizio delle "Epistole"
paoline, che mostra Paulus e i suoi discepoli, è tratta
da una illustrazione dell'"Eneide" testimoniata nel
"Virgilio Vaticano" del IV-V secolo: Enea e Acate del
manoscritto virgiliano sono diventati i discepoli di Paulus. Non
tutte le illustrazioni potevano essere "lette" da tutti.
Esiste una selezione dei pubblici, parte di una strategia della
propaganda cristiana. I codici miniati e illustrati erano dei
"prodotti mirati" - per usare un termine del marketing
del XX secolo. Così ad esempio in una delle scene della
"Bibbia di Viviano" vediamo la figura biblica di David
che danza nudo davanti al Signore: si vuole significare l'umiliazione
di Viviano, il potente abate laico, dinanzi a Carlo il Calvo,
al quale il libro risulta offerto dallo stesso Viviano.
A questi libri illustrati danno il loro contributo
artisti e artigiani. Anonimi ma anche, in linea con il mutamento
dei tempi intercorso tra il XIII e il XV secolo, artisti noti
e famosi. Nella libreria Piccolomini che si trova oggi a Siena
è possibile ammirare alcuni di questi libri illustrati.
Sempre a Siena (duomo), sono alcuni antifonari, tra le cose pił
belle dal punto di vista pittorico; vi si possono ammirare la
"Resurrezione" (c.1470, in:cod.23.8, f.2r.) di Girolamo
da Cremona, "San Martino e il povero" (c.1470, in:cod.28.12,
f.101v.) di Liberale da Verona, due artisti fatti venire apposta
dal nord Italia per procedere alla decorazione e illustrazione
di questi antifonari. A Francesco di Giorgio Martini si deve la
prima pagina del "De animalibus" di Albertus Magnus,
conservato presso il convento dell'Osservanza di Siena: il poliedrico
artista si dedicò alla miniatura nella fase giovanile.
Suo è anche una "Natività di Cristo" (c.1460)
che si può vedere nell'antifonario già appartenuto
all'abbazia di Monteoliveto Maggiore vicino Siena, e ora conservato
nel museo del Duomo di Chiusi. E' la cosiddetta "tavoletta
di biccherna" (c.1467), raffigurante la città di Siena
al tempo del terremoto del 1466, "al tempo de'tremuoti"
come si può leggere nella stessa. Quest'ultima è
interessante dal punto di vista storico- documentario: la "biccherna"
era la magistratura finanziaria della Repubblica senese, e fin
dalla metà del XIII secolo adottò l'uso di far dipingere
le copertine di legno dei propri registri amministrativi. L'uso
si estese poi alla gabella (altra magistratura finanziaria) e
poi all'ospedale e all'opera del duomo. Oggi possiamo vedere queste
copertine presso l'Archivio di Stato di Siena: ce ne sono attualmente
103 pezzi, ad opera dei maggiori artisti della città: Duccio,
Ambrogio Lorenzetti, Sano di Pietro, Giovanni di Paolo, Neroccio,
Benvenuto di Giovanni ecc.
Tra i libri miniati profani pił belli del XV
secolo francese è il Libro dei tornei, conservato alla
Biblioteca Nazionale di Paris. E' un trattato di notevoli dimensioni,
con varie pagine dipinte ad acquarello: descrive il cerimoniale
di un torneo immaginario secondo il rituale cavalleresco. Il manoscritto
è datato alla metà del XV secolo, ed è opera
di Barthelmy d'Eyck. Barthelmy aveva in precedenza decorato il
Libro del cuore innamorato con la stessa eleganza, ma nel "Libro
dei tornei" verità e fantasia si intrecciano in una
profusione di immagini e colori. Si vedano le pagine che rappresentano
il giudizio delle armi cui vengono sottoposti i cavalieri per
avere sparlato del sesso femminile, mentre il corteo delle dame
offese avanza con passo leggero verso un chiostro sventolante
di stendardi. Barthelmy d'Eyck si era formato in ambiente fiammingo,
forse al seguito di Jan van Eyck. Insieme a Enguerrand Quarton,
pittore e miniatore originario della Piccardia, Barthelmy fu il
maggiore esponente dell'arte provenzale. La miniatura francese
conobbe due stagioni di splendore in un arco di tempo che corrisponde
alla rinascita culturale conseguente ai disastri della "guerra
dei cent'anni". La prima stagione si ebbe con il regno di
Carlo VII e di Luigi XI, e si chiude nel c.1480. All'inizio dominano
ancora le istanze figurative del gotico internazionale che si
rispecchiano nel Maestro Franēois, a cui sono attribuite le miniature
della Città di dio (custodito oggi alla Biblioteca Nazionale
di Paris). Con il Maestro del cardinale Jean Rolin, l'arte della
miniatura sembra procedere decisamente in senso rinascimentale:
si veda un testo come l'Orologio della sapienza. Una fase di progresso
si ha con l'ondata di naturalismo di matrice fiamminga, attraverso
la lezione di Van Eyck, Van der Weyden, e di Robert Campin. La
miniatura italiana invece sarà assimilata solo da Jean
Fouquet. Fouquet si riconobbe nella sintesi prospettica di forma
e colore di Piero della Francesca, svolse la sua attività
a Tours, negli anni in cui questa città era capitale. A
partire dal 1450, dopo un viaggio in Italia, Fouquet lavora per
il re e per il papa ma anche per alcuni alto-borghesi, come Simon
de Varie ritratto in ginocchio davanti alla Vergine assisa in
trono in un bellissimo libro d'ore (in due volumi oggi separati).
Nei codici miniati da Fouquet, nelle Ore di Etienne Chevalier
della British Library di London, le pagine sono prive di decorazioni
floreali lungo i bordi, il ché consente alle immagini di
occupare tutto lo spazio della pagina. Il testo talvolta è
posto come una didascalia sotto le illustrazioni. Intorno al 1450,
nel clima di generale rigoglio della produzione minutiaristica
francese, altre regioni come la Savoia e il Nord risentono del
convergere di varie spinte culturali. La Savoia in particolare
è interessata da contatti con la Germania e l'Italia: è
il luogo d'azione di Antoine de Lonhy, autore tra l'altro di uno
splendido messale oggi a Praga. Con l'avvento al trono di Carlo
VIII e del successore Luigi XII le miniature acquistano una dimensione
pił monumentale, occupano sempre di pił l'intera pagina, caratterizzate
da un impianto architettonico che le assimila ai quadri. Le figure
a mezzo busto si rifanno ai modelli italiani, a Giovanni Bellini
soprattutto ma anche al fiammingo Van der Goes. I miniatori francesi
sottopongono l'arte italiana a una revisione di addolcimento,
mentre il realismo fiammingo diventa esuberante finezza decorativa.
Jean Poyet nel Messale di Guillaume Lallement si rivela in stretta
dipendenza da Mantegna. Jean Colombe resta pił fedele al tardo-gotico.
Eccellente ritrattista è Jean Perréal: si veda ad
esempio un codicetto di argomento profano, gli Enigmi, da lui
miniato.
Si procedeva dunque all'illustrazione del libro
che si intendeva conservare, che doveva costituire documento familiare
o dell'istituzione. In questo modo il libro usciva dal semplice
uso di archivio di un testo, memoria di un contenuto (amministrativo,
religioso, privato ecc.), per diventare oggetto d'arte. Si può
dire che proprio nel momento in cui il libro manoscritto e miniato
stava per essere soppiantato dall'introduzione della stampa, raggiungeva
il massimo della sua bellezza e diffusione.
La stampa a caratteri mobili
Si data al c.1455 la prima edizione della
Bibbia di Gutenberg. Si tratta, a quel che se ne sa, del primo
libro stampato in europa, a caratteri mobili. E in ogni caso quello
da cui deriva la tecnologia tipografica occidentale. Johann Gensfleisch
Gutenberg nacque a Magonza nel c.1400 (morì nel c.1468).
Era membro della famiglia patrizia dei Genfleisch: il nome Gutenberg
deriva da un possedimento avito ("Hofe zum Gutenberg").
In verità non sappiamo molto di lui. Sappiamo che nel 1434
era a Strasburgo. Qui, associato con altri, era occupato dal 1437
nella fabbricazione di specchi: a partire dal 1438 almeno si dedicò
a un'arte circondata da top-secret. La notizia pił tarda del soggiorno
di Gutenberg a Strasburgo risale al 1444. Nel 1448 è a
Magonza, e riprende i suoi lavori. Nel 1450 trova nel ricco concittadino
Johann Fust il finanziamento per la sua invenzione, ricordata
nelle fonti con l'espressione "das Werk der Bücher".
Dopo cinque anni di lavoro, sul finire del 1455, Fust fece causa
a Gutenberg per avere indietro i soldi del prestito e il loro
frutto (in tutto 2020 gulden d'oro) perché Gutenberg non
aveva pagato gli interessi pattuiti. Gutenberg perse la causa,
insieme a tutto il materiale della sua officina e probabilmente
anche il primo prodotto della sua invenzione, terminato proprio
in quell'anno. Era la "Bibbia" latina a due colonne,
detta poi "delle 42 linee" o "mazarina". Dopo
il processo le notizie su Gutenberg sono scarse. Forse riprese
la sua attività tipografica, perché risulta che
Konrad Humery era in possesso, dopo la morte di Gutenberg, del
suo materiale tipografico. Nel 1465 il principe arcivescovo Adolf
accolse Gutenberg nella sua corte. Delle altre cose da lui stampate,
non si hanno certezze. Problematica è l'attribuzione a
Gutenberg del "Catholicum" magontino del 1460, e del
"Missale speciale constantiense", i cui tipi presentano
affinità con quelli del "Salterio" del 1457 stampato
da Fust e Schöffer.
Nel 1457 infatti, Fust e il socio Peter
Schöffer, che aveva appresa da Gutenberg l'arte della stampa,
iniziarono la loro fiorente attività con il "Salterio",
stampato con i tipi che provenivano dall'officina gutenberghiana
e che erano stati realizzati, con i tipi della Bibbia mazarina,
per la stampa di un'opera ancora pił grandiosa di quelle realizzate,
forse un messale.
Il XV secolo
[1997]
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