Storia della letteratura europea - Torna in homepage"La Celestina"


"La Celestina"


La Tragicommedia di Calisto e Melibea, o La Celestina è un te sto composito, a metà tra la commedia umanistica e la prosa dia logata. Viene attribuita a un dotto avvocato, di famiglia ebraica convertita, Fernando de Rojas, che sappiamo morto nel 1541. La prima edizione di questa commedia è del 1499, e fino all'edizione del 1519 il titolo recato è quello di "Comedia de Calisto y Melibea", diventato poi "Tragicomedia". Nell'edizione del 1501 un acrostico afferma che l'autore scoprì il primo atto e scrisse altri 15. Nell'edizione del 1502 compaiono altri cinque atti. La storia è quella del giovane e nobile Calisto, che vede Melibea e se ne innamora. Respinto, si rivolge alla vecchia mezzana Celestina che, maestra nel suo mestiere, convince Melibea a incontrare Calisto. Sempronio e Pármeno, domestici di Calisto, chiedono a Celestina un pezzo della catena d'oro donatale da Calisto, Celestina rifiuta e i due la uccidono. Tratti in arresto sono giustiziati. Una sera Melibea accoglie Calisto nel suo giardino. Si sentono dei rumori dalla strada. Il giovane fugge, ma cade e muore. Melibea si chiude in una torre e si uccide. Questo dramma è tra le cose migliori della produzione casti gliana, dopo il "Don Chisciotte". Vi sono presenti elementi di duplice natura. L'intento predicatorio e la lezione morale (la morte del protagonista come 'castigo divino'), ma anche elementi laici (il suicidio per amore, certi tratti materialistici di Calisto). E' una commistione che si ritrova negli autori spagnoli del XVI secolo. Vi sono anche elementi peculiari: i personaggi, nobili o plebei, non sono figure ideali ma creature di nervi e sangue. Lo stile fonde con successo due tendenze presenti nella prosa del XV secolo: quella colta (nei dialoghi dei protagonisti, di tono elevato e dall'elegante eloquenza) e quella popolaresca (nel linguaggio dei domestici, vivace e ridondante). Su tutto è una dimensione tragica dell'esistenza vista come caos, "un labirinto di errori" privo di ogni luce di salvezza.



[1997]

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