Il
classicismo di Jean Racine
Il classicismo di Jean Racine
Racine fu il maggior rappresentante in teatro della dottrina classicista.
Egli rispetta naturalmente le regole, senza esserne schiavo, preoccupandosi
solo di "piacere" al pubblico. Le sue tragedie sono lineari, l'azione
drammatica è concentrata su un unico problema, la materia
è ridotta al minimo ed essenziale, coinvolge un numero
limitato di personaggi sù bito presentati. Le sue tragedie
rappresentano sempre una crisi passionale, nel momento in cui
le passioni a lungo trattenute esplodono. I drammi si svolgono
all'interno, nell'animo dei personaggi. L'azione consiste nel
logico crescendo dei sentimenti, fino allo scioglimento che è
un ossequio alla teoria aristotelica della catarsi. Lo scioglimento
è spesso orribile, ma non è obbligatoriamente la
morte. L'amore per Racine è la passione tragica per eccellenza.
Contro l'amore non possono nulla né la ragione né
la volontà. L'amore è prodotto da una fatalità
ineluttabile, che scatena il più totale disordine psicologico.
La gelosia è la massima manife stazione di questa passione
irragionevole ("Phèdre"), così forte da desiderare
la morte dell'amato. L'amore ostacolato provoca un conflitto nell'animo
dei personaggi, con la contemporaneità di amore e odio
per l'oggetto della passione. E' un conflitto fata le: l'odio
provoca l'uccisione dell'amato, l'amore il suicidio dell'amante.
Oppure, come nel caso della "Bé ré nice" siamo all'impossibilità
e il dramma ha la violenza di una bomba che scoppia senza possibilità
di rumore. Quello della "Bé ré nice" è un
dramma dell'infelicità, una vicenda senza azioni e senza
eventi, la tragedia dei sentimenti e della possibilità
di dar loro espressione.
I drammi di Racine non sono solo drammi esistenziali. C'è
anche in essi la trama delle allusioni a fatti o personaggi del
tempo. Così alcuni hanno voluto vedere nella vicenda della
"Bé ré nice" una allusione a una passione giovanile
di Luigi XIV per una nipote del cardinal Mazzarino, Maria Mancini,
alla quale il re dovette rinunciare per un matrimonio d'alleanza
con l'Infanta di Spagna. Ma è ormai difficile capire se
Racine avesse davvero queste intenzioni. Agli spettatori di quelle
prime repliche del 1670 non potevano però sfuggire le profonde
linee di ri flessione sottese all'elegantissima tessitura dei
versi racineiani, che percorrono tutti i capolavori del drammaturgo
destinati alla corte del "re sole". Il fondo nero che si agita
nel fondo della "Bé ré nice" ma anche della "Phèdre",
o di "Britannicus".
Il pessimismo di Racine è profondo, e deriva dalla sua
formazione giansenista a Port Royal: Racine si era apparentemente
allontanato da quella dottrina, tacciata di eresia e soppressa
con la forza, ma si era portato dietro quel dubbio sostanziale
sulla radice dell'animo umano, su quell'ineliminabile componente
di dolore e di peccato, su quell'umore negativo che albergava,
secondo i giansenisti, nel fondo dell'individuo, senza quella
speranza di redenzione di grazia o di salvezza che le altre religioni
accor davano. Racine non ha molta fiducia nella natura umana,
è convinto dell'ineluttabile miseria dell'uomo che, senza
dio, è perduto. L'uomo è debole vittima delle passioni
e del peccato se non è soccorso dalla grazia.
In Racine agisce un grande poeta lirico. I suoi versi hanno vaga
e ineffabile musicalità, esempio di "poesia pura". Ma sotto
la purezza della lingua, le grazie dell'alessandrino, la precisione
della psicologia e il conformismo della metafisica si ritrovano
alcune pulsioni primordiali: l'incesto, la rivalità tra
fratelli, l'uccisione del padre, la rivolta dei figli. Racine
è poeta della passione, del fato, della debolezza umana
ma anche dei rapporti di sangue, di autorità e di concupiscenza.
Destoricizza le tragedie situandole su sfondi altamente convenzionali,
ma li investe anche di una carica erotica ambigua e sotterranea.
Una materia così terribile è espressa in una forma
fluida e musicale, nel rispetto di regole proporzionate e severe.
© Antenati, 1995-6
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