Denis
Diderot: posizioni filosofiche
Denis Diderot: posizioni filosofiche
Con Diderot (e con Voltaire) siamo alla base del pensiero illuminista.
Un pensiero che ha avuto le sue evoluzioni nel tempo, ma mantenendo
sostanzialmente fedele una coerenza etica di fondo. Partito dalle
note deiste dei "Pensieri filosofici" (Pensées
philosophiques, 1744), Diderot giunse presto a posizioni materialistiche
con la "Lettera sui ciechi per l'uso di quelli che vedono"
(1749) e la "Lettera sui sordi e sui muti per l'uso di quelli
che intendono e parlano" (1751). Fu proprio la "Lettera
sui ciechi" a causargli l'imprigionamento a Vincennes. In
questa lettera Diderot sviluppava una nuova concezione del mondo
e dell'uomo, un metodo di analisi e una nuova teoria della conoscenza.
E' messo in discussione il concetto stesso di normalità:
la diversità del cieco serve a Diderot per relativizzare
il concetto di normalità e mettere in discussione molti
luoghi comuni sullo sviluppo dell'intelligenza. Il cieco con cui
dialoga possiede la ragione, la stessa degli altri uomini: ragione
e intelligenza non si riducono a una combinazione di sensazioni:
se
empirismo e sensismo, di Locke e Condillac, fossero veri il mondo
del cieco senza la facoltà di vedere sarebbe radicalmente
diverso da quello del ve dente: il che non è vero. Il cieco
giudica come il vedente anche se attraverso modalità diverse.
Le intelligenze possono svilup parsi in modo differenziato a seconda
dei contesti culturali, educativi, sociali e fisici diversi. Diderot
si serve dei ciechi per dimostrare come molte norme tradizionali
e regole sono il prodotto di convenzioni sociali. Intravede l'utopia
di un mondo e di una società costruiti su basi diverse.
Il suo scopo è dimostrare che le nostre idee su dio e sulla
morale non sono assolute ma relative alla nostra costituzione
fisica, psichica e alla nostra educazione. Anche l'uso del dialogo,
il dialogo di origine socratica, è indicativo della ricerca
filosofica di Diderot.
"La lettera sui sordi e muti" (1951) fu poi usata
da Condillac per il suo "Trattato delle sensazioni",
e influenzerà i lavori dell'abate de L'Epée. Diderot
prende l'esempio dei sordi e dei muti per spiegare l'origine e
la formazione del linguaggio. Mo stra come non esiste solo il
linguaggio parlato ma anche quello
mimico e gestuale, vede i linguaggi come mezzi di comunicazione,
sviluppa l'idea della molteplicità delle forme comunicative.
Par lando del teatro osserva come la «lingua dei gesti è
metaforica». Analizzando la genesi della lingua francese, mostra
come la lingua popolare, quella di Rabelais e di Montaigne, è
pił ricca e creativa di quella scritta codificata dai dotti.
Scrisse alla voce 'Filosofo' dell'Encyclopédie: «la grazia
de termina il cristiano ad agire, la ragione determina il filosofo»,
mentre l'uomo è un essere sociale, «l'uomo è fatto
per vivere in società». Contro le superstizioni, i dogmi,
gli idoli che tirannizzano lo spirito umano, scrive che «filosofare
è dare la ragione delle cose o
per lo meno cercarla». Filosofia è «la scienza dei possibili»,
occorre ricercare quello che può convenire in generale
per tutti gli interessi umani e in che cosa consistono le differenze.
Così giunge a ipotizzare un concetto di evoluzione differenziata,
e si interessa di calcolo delle probabilità. La sua idea
centrale è quella della combinazione dei possibili: la
natura è un caos di forze, un insieme di contraddizioni
e conflitti, di sviluppi potenziali. Di qui il superamento diderotiano
del meccanicismo e del tradizionalismo statico. nella sua "Critica
al libro 'Dell'Uomo' di Helvetius" scrive contro «il governo
arbitrario d'un principe giusto e illuminato» che, anche se giusto
e illuminato, abitua il popolo a obbedire al tiranno: «toglie
al popolo il
diritto di deliberare, di volere o non volere, di opporsi anche
alla sua volontà quando ordina il bene; perché que
sto diritto di opposizione [...] è sacro: senza questo
i soggetti assomigliano a un gregge di cui si disprezza il richiamo,
con il pretesto che lo si porta nei grassi pascoli». «La società
si di vide in due classi: una classe
ristretta di cittadini che sono ricchi, e una classe molto numerosa
di cittadini che sono poveri»: Diderot critica sfruttamento e
sperequazione, vorrebbe una ripartizione pił equa della ricchezza.
Nell' "Apologia dell'Abate Raynal" scrive contro «i
tiranni religiosi», e aggiunge: «il libro che amo e che i re e
i loro cortigiani detestano è il libro che fa nascere i
Bruti»: l'insurrezione è un dovere per un popolo oppresso,
perché «i mortali sono tutti uguali».
Per Diderot «mai un uomo potrà essere la proprietà
di un sovrano, un bambino la proprietà di un padre, una
donna la proprietà di un marito, un domestico la proprietà
di un padrone, un negro la proprietà di un colono. Dunque
non possono esistere schia vi, neanche per diritto di conquista,
ancora meno per acquisto e vendita. I Greci dunque sono stati
degli animali feroci contro i quali i loro schiavi giustamente
si sono ribellati. I Romani dunque sono stati bestie feroci [...]».
Per questo principio Diderot condanna i massacri degli spagnoli
in America Latina. Ma fa anche qualcosa in pił. Nel 1766-1769
il navigatore francese Bougainvil le aveva compiuto un viaggio
di circumnavigazione scoprendo nume rosi arcipelaghi della Polinesia,
e aveva poi
raccontato la sua esperienza nel "Viaggio intorno al mondo"
(1771), che Diderot aveva letto. Diderot scrive allora il "Supplemento
al Viaggio di Bougainville" (1771) che è una critica
radicale dei fondamenti culturali e etici della civiltà
europea del tempo. Il testo è scritto nella forma del dialogo
tra il vecchio saggio di Tahiti e
Bougainville. Diderot denuncia l'etnocidio e l'etnocentrismo de
gli europei, mentre nello stesso tempo presenta la comunità
tahi tiana come vicina allo 'stato di natura', basata sulla parità
uomo-donna, sulla comunità dei beni, l'eguaglianza, la
libertà sessuale e l'autogoverno. Nell'isola di Tahiti
non esiste l'idea di peccato, la parità tra i sessi è
totale, la donna è un essere libero e pensante come l'uomo
e non può quindi
essere la proprie tà di nessuno. Il vincolo matrimoniale
non è eterno ma consensuale, esso è «il consenso
di abitare in una stessa capanna, di dormire nello stesso letto,
finché si sta bene insieme»: «appena la donna diventa la
proprietà dell'uomo, e il piacere sessuale è vi
sto come un furto, nacquero delle virtł e dei vizi
immaginari. In una parola, tra i due sessi, delle barriere». «Volete
sapere la storia abbreviata di quasi tutta la nostra miseria?
Eccola. Esisteva un uomo naturale. Hanno in trodotto dentro questo
un uomo artificiale, e si è alzata nella caverna una guerra
continua che dura tutta la vita. Talvolta l'uomo naturale è
il pił forte, talvolta è travolto dall'uomo morale e artificiale.
E nell'uno come nell'altro caso il povero mostro è lacerato,
attanagliato, tormentato, steso sulla ruota. Gemendo senza sosta,
continuamente infelice».
Invoca Diderot: «piangete, infelici tahitiani! piangete dell'arrivo
[...] di questi uomini ambiziosi
e cattivi [...]. Un giorno torneranno [...] per incatenarvi, sgozzarvi,
assoggettarvi alle loro stravaganze e ai loro vizi, un giorno
servirete sotto di loro, altrettanto corrotti, altrettanto vili,
infelici come loro».
Fa dire al vecchio tahitiano: «noi segniamo il puro istinto della
natura. Tu hai tenta to di cancellare
dalla nostra anima il suo carattere. Qui tutto è di tutti,
e tu ci hai predicato non so quale distinzione del tuo e del mio
[...]. Noi siamo liberi, ed ecco che tu hai piantato nella nostra
terra il titolo della nostra futura schiavitł. Tu non sei né
dio né un demonio: chi sei allora per fare degli schiavi?
[...] Tu hai progettato nel fondo del tuo cuore la rapina di tutto
un popolo! Tu non sei schiavo, soffriresti piuttosto la morte
che esserlo,
e tu vuoi asservirci! Tu credi dunque che il tahitiano non sappia
difendere la sua libertà e morire? [...] Il tahitiano è
tuo fratello. Voi siete due figli della natura: quale diritto
hai su di lui che non abbia su di te? [...] Lasciaci le nostre
usanze, sono pił sagge e pił oneste delle tue, non vogliamo barattare
quella che chiami la nostra ignoranza contro i tuoi inutili lumi.
[...] Siamo disprezzabili solo per non avere bisogni superflui?
[...] Insegni fin dove vuoi quello che chiami la comodità
della vita, ma permetti a de gli esseri sensati di fermarsi se
ottengono dai loro continui faticosi sforzi solo beni immaginari.
Se tu ci persuadi a oltrepassare il limite del bisogno semplice,
quando finiremmo di lavorare? Quando goderemmo? Abbiamo ridotto
il pił possibile le nostre fatiche annue e giornaliere perché
niente ci sembra preferibile al riposo. Va nel tuo paese ad agitarti,
tormentarti quanto vuoi: lasciaci riposare».
Alla fine della sua vita il vecchio filosofo si schierava con
le colonie nordamericane in rivolta contro l'impero inglese, con
la sua "Apostrofe ai ribelli d'America" (Apostrophe
aux insur gents d'Amérique): parla di libertà, uguaglianza,
virtł, indipendenza, scrive che per raggiungere felicità
e libertà gli americani non dovevano abusare della prosperità,
dovevano essere giusti nella ripartizione delle ricchezze, non
tentare di soggiogare altri popoli...
[1997]
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