Cyprian 
              Kamil Norwid 
            
             
             
               Cyprian Kamil Norwid 
               
               Nato a Korona nel 1821, orfano, crebbe in casa 
                di parenti a Varsavia. Dopo l'insurrezione del 1831 interruppe 
                gli studi per recarsi all'estero. A Firenze si occupò di 
                pittura e scultura. Nel 1848 raggiunse Roma per arruolarsi nella 
                legione polacca ma, entrato in dissidio con Mickiewicz, se ne 
                ripartì via subito. Visse qualche anno a Paris, dove conobbe 
                Slowacki e Chopin. Nel 1852 la miseria lo spinse a emigrare in 
                America. Ne tornò ancora più povero e deluso. Morì 
                dimenticato, a Paris nel 1883. 
                 
                La sua opera, rimasta in gran parte inedita e misconosciuta, fu 
                pubblicata e rivalutata solo nel XX secolo. La sua originalità 
                emerge già nel poema dialogico Promethidion (1851) in cui 
                il tradizionale verso sillabico è modellato sul ritmo e 
                sulle cadenze del linguaggio parlato. Norwid vi sviluppa la sua 
                visione del significato dell'arte come forma di amore che, per 
                essere profonda, non può che scaturire da un popolo libero 
                e da un lavoro emancipato. Molto nota nel XX secolo e ripresa 
                come emblema nazionale è la poesia Il pianoforte di Chopin 
                (1865). In seguito il 'parlato' di Norwid si andò evolvendo 
                sul piano metrico fino al verso libero. Sperimentò tonalità 
                narrative in A Dorio ad Phrygium (c.1872). In questa fase, la 
                ricerca di Norwid coincide con quella condotta nella poesia inglese 
                da Browning. 
                 
                Della produzione drammatica di Norwid si ricordano Dietro le quinte 
                (1869) e la tragedia Cleopatra (1878). Il messaggio di Norwid 
                parla di dignità individuale coltivata in una specie di 
                «estetica quotidiana». E' la strenua lotta contro la volgarità, 
                in qualsiasi forma storica o artistica essa si riveli, che spinge 
                Norwid a controllare ogni disgregazione del linguaggio attraverso 
                un capillare lavoro sulla pronuncia e la metafora poetica. 
               
              
               
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