Gerard
Manley Hopkins
Gerard Manley Hopkins
Gerard Manley Hopkins nacque a Stratford
[Essex] nel 1844 (morì a Dublin nel 1889). Figlio del console
generale delle Hawaii, fece gli studi a Oxford, si convertì
al cattolicesimo (1866), due anni dopo intraprese il noviziato
tra i gesuiti, ricevette gli ordini nel 1877. Fu sacerdote, predicatore
a London, Oxford, Liverpool, Glasgow. Nel 1884 ebbe la cattedra
di letteratura greca all'Università di Dublin. Le sue poesie
furono pubblicate postu me, nel 1918, grazie a Robert Bridges:
le 750 copie delle "Poesie" ci misero dieci anni per andare in
esaurimento. In vita ha pubblicato solo una poesia giovanile,
tre epigrammi satirici, la commemorazione di un vescovo e la prima
strofa di un componimento poi ultimato, sempre su riviste secondarie
(come lo «Stonyhurst Magazine», un foglio locale della scuola
cattolica dove aveva in segnato); del resto nel 1868, durante
un breve soggiorno in Sviz zera, poco prima di entrare nella Com
pagnia di Gesù, aveva bru ciato tutte le cose scritte in
giovinezza. Tormentato dal dubbio sul "peccato" di mondanità
connesso alla scrit tura, non ebbe for tuna neppure presso gli
ambienti gesuitici inglesi. Lo apprezza rono pochi amici, come
il cardinale Newman, e i poeti Richard Watson Dixon e Robert Bridges
(con cui ebbe una folta corrispondenza).
Il componimento più lungo e noto è
Il naufragio del Deutschland (The wreck of the Deutschland, 1876).
Si tratta di una meditazione religiosa che prende spunto dalla
morte in mare, sul le coste del Kent, di cinque suore francesi.
Hopkins la scrisse rompendo il voto che aveva fatto di non scrivere
più poesia, solo su permesso del rettore suo superiore.
La struttura dell'ode è modulata sulle oscillazioni della
tempesta che inghiotte la nave, mentre l'attenzione si sposta
progressivamente dalla descrizione della natura in cui si alterna
bellezza e orrore, alla rivelazio ne della centralità del
sacrificio del Cristo. E' uno dei leit- motif di Hopkins: la celebrazione
della "maestà divina" che con tiene sia ter rore che amore
infinito. Il poemetto fu rifiutato dal «Month», la rivista dei
gesuiti fondata nel 1864, per "oscurità".
Notevoli anche molte poesie brevi, come La
grandezza di dio (God's grandeur), Il gheppio (The windhover),
Variopinta bellezza (Pied beauty), I pioppi di Bin sey (Binsey
poplars), Primavera e autunno (Spring and fall), Scritto sulle
foglie della sibilla (Spelt from Sybil's leaves). Scrisse inoltre
una serie di sonetti "oscuri", che rispecchiano la tormentosa
lotta con le tensioni impostegli dalla fede. I Diari posseggono
pagine di grande inten sità pittorica.
Hopkins è uno dei più arditi
poeti sperimentatori inglesi. La sua opera spezza il conformismo
della poesia vittoriana, anticipa sviluppi della poesia del secolo
successivo. Attraverso l'uso dell'assonanza, dell'allitterazione,
del ritmo "a salti", e di un lessico variatissimo e concreto,
riproduce il "gusto" della real tà, ciò che egli
chiamò inscape , coniando un neologismo, l'essen za unica
e inconfondibile del reale. E' una tecnica compositiva che si
ricollega all'antica poesia anglosassone (l'uso dello sprung rhythm
, la struttura metrica basata musicalmente sul ritmo accentato
della poesia pre-normanna, densa appunto di assonanze allitterazioni
invenzioni sintattiche e verbali ecc.) e alla poe sia metafisica
(il filone che da Donne conduce fino a Dylan Thomas ). Ma in Hopkins
c'è sotto un senso spontaneo e immediato del la bellezza,
emanazione della vita divina.
La bellezza della natura, sempre percorsa
da un brivido di paura, ha senso per Hopkins solo se rapportata
a Dio (si veda una poesia come Bellezza screziata ), abbinata
agli attributi di rega lità lealtà e eroismo di
quanti imbracciano le insegne di Cristo. Ne Il gheppio , che ha
come sottotitolo la dedica "a Cristo nostro Signore", davanti
alla visione dell'uccello rapace che veleggia "nell'aria immobile",
Hopkins scandisce gli attributi a Cristo secondo la tradizione
pre-moderna, medievale: "o my chevalier" (o mio cavaliere...).
Canta la "regalità, l'eroismo, e il valore" che sfociano
nella "perigliosa bellezza di Dio". La bellezza ac quista le sembianze
di un "fuoco divino" (lo stesso fuoco che è alla fine dei
"Quattro quartetti" di Eliot), proprio perché sca turisce,
secondo Duns Scotus il filosofo medievale irlandese che ha influenzato
tutta l'estetica hopkinsiana, dal rapporto tra dio e l'individualità
delle cose: bellezza e individualità co incidono proprio
nel momento in cui si sottomettono al loro creatore. Ma è
un traguardo che costa sofferenza. Raggiunto il traguardo, si
ha la sensazione del distacco del silenzio: l'uomo e l'asceta,
affa scinato e impaurito dal giudizio finale (della teologia cattoli
ca). Nelle "Foglie della Sibilla", uno dei componimenti più
sof ferti e databile forse a pochi anni prima della morte, raffigura
il tunnel del tempo dove la sera si fa grembo, dimora e bara di
tutte le cose, mentre nell'agghiacciante Dies Irae persino i pensieri
"stridono contro se stessi".
© Antenati - 1994-1997
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