Giovanni 
              Boccaccio: opere minori 
            
             
             
               
                
                   Giovanni Boccaccio: opere minori 
                
                Nelle numerose opere minori precedenti il 
                "Decameron", in prosa e in verso, è già la tendenza 
                di Boccaccio verso una letteratura amena, di intrattenimento, 
                sulla scia del romanzo cavalleresco e disciplinata dall'uso della 
                retorica. Nelle opere giovanili napoletane predomina l'elemento 
                autobiografico come esperienza di amore e di vita, travestito 
                allegoricamente. Si tratta nel complesso di prove e sperimentazioni, 
                con la disponibilità al romanzesco più o meno celato 
                dietro schemi classicheggianti.  
                 
                 Sono ancora esercitazioni letterarie le prime 
                 Rime di argomento amoroso, la  Elegia di Costanza 
                in versi latini, la  Caccia di Diana (c.1334) poemetto 
                in terza rima che celebra in chiave mitologica alcune gentildonne 
                napoletane. 
                La Caccia di Diana, su una caccia svolta da belle fanciulle guidate 
                da Diana attraverso le foreste napoletane, è la storia 
                autobiografica di un cervo che grazie a una «donna cui Amore onora 
                più ch'altra per la sua somma virtute» si trasforma da 
                «brutta bestia» in «uomo d'intelletto». La vicenda ovidiusiana 
                di Atteon, il giovanetto trasformato in cervo e sbranato dai cani 
                per vendetta di Diana offesa per essere stata vista nuda, viene 
                stravolta. Anche il cervo protagonista e narratore del poemetto 
                del giovane Boccaccio sorprende all'inizio Diana e le sue seguaci 
                nude (II, 25 e seg.) ma invece di essere punito è premiato 
                con la metamorfosi a giovinetto gaio e bello, «subietto [...] 
                a quel signore | che gentilisce ciascun vil mente». Il cervo ha 
                anche una funzione allegorica, codificata dalla cultura patristoco-cristiana 
                (a partire da Augustinus e dal suo commento al Salmo XLI, ma presente 
                anche in pitture e figurazioni, divulgazioni di 'phisiologi' e 
                bestiari, opere romanzesche varie come quelle di Adam de Halle 
                che circolavano allora nella corte di Napoli). E la vicenda di 
                Atteon-cervo della "Caccia" tornerà poi in altre opere 
                successive di Boccaccio, attraverso allusioni e riprese varie 
                .  
                 
                 Di maggior impegno il  Filocolo (1336-8), 
                di cui Boccaccio si inventò il significato etimologico 
                di "fatica d'amore". E' un romanzo in prosa diviso in cinque libri. 
                Narra gli amori di Florio e Biancifiore, tratti da una leggenda 
                tradizionale. Usanze cristiane e pagane si intrecciano anacronisticamente. 
                Appare per la prima volta il nome di Fiammetta. E' la proiezione 
                di una autobiografia ideale, Boccaccio tenta di nobilitare stilisticamente 
                una materia popolare. Le avventure e le peripezie dei due amanti 
                diventano il pretesto per esercizi retorici che chiudono la prosa 
                latineggiante nelle rigide intelaiature delle clausole e dei ritmi 
                della latinità decadente.  
                 
                 A Napoli Boccaccio scrisse una  Allegoria 
                mitologica, parafrasi in prosa latina delle "Metamorfosi" 
                di Ovidius. Un poemetto in ottave, terminato forse a Firenze, 
                è il  Teseida delle nozze di Emilia (c.1339-1341): 
                ispirato ai modelli dell'"Eneide" virgiliana e della "Tebaide" 
                di Statius, contaminati dalla tradizione dei cantori e dalla materia 
                cortese dei romanzi artusiani, il poema ha un impianto epico, 
                muove dalla guerra di Teseo re di Atene contro le Amazzoni. L'epos 
                rimane una cornice, mentre il nucleo più vivo è 
                quello lirico-sentimentale.  
                 
                 Più esplicito carattere di romanzo 
                sentimentale ha il  Filostrato (1335, o 1339-40), "vinto 
                d'amore" secondo l'etimologia inventata di Boccaccio E' un poema 
                in ottave ispirato a un episodio del "Roman di Troie" di Benoit 
                de Sainte-Maure, largamente influenzato dalla voga erotico-cavalleresca 
                della narrativa francese.  
                 
                 Maggiore maturità Boccaccio acquista 
                con il ritorno a Firenze.  
                L'autobiografismo sentimentale è meno presente, al gusto 
                della letteratura cortese cavalleresca subentra l'influsso della 
                poesia didascalica e allegorica toscana. 
                La  Commedia delle Ninfe (1341-2 ) è un'opera in 
                prosa inframezzata da terzine alighieriane. L'assunto è 
                allegorico: il pastore Ameto simboleggia l'umanità, le 
                sette ninfe (tra cui l'amata Lia), le virtù cardinali e 
                teologali attraverso cui l'uomo si ingentilisce e purifica fino 
                a giungere all'amore divino. Predomina il dato mondano e realistico, 
                anche se stilisticamente deteriorato dai riferimenti eruditi e 
                dai tecnicismi retorici.  
                 
                 Più dottrinale e artificioso l'assunto 
                allegorico della  Amorosa visione (1342), prolisso poema 
                in terzine alighieriane, in 50 canti.  
                 
                 Tra le cose migliori della produzione minore 
                di Boccaccio è la  Elegia di madonna Fiammetta (1343-4), 
                romanzo in nove capitoli preceduti da un proemio dedicato alle 
                "vaghe donne". La narrazione è condotta in prima persona 
                da Fiammetta, che narra del suo amore per Panfilo, della sua tristezza 
                al momento della partenza di lui richiamato a Napoli dal padre, 
                le notizie contraddittorie che comincia a ricevere (prima le dicono 
                che Panfilo si è sposato, poi che è il padre di 
                lui che in realtà si è sposato, poi che Panfilo 
                è innamorato di un'altra), il tentativo di suicidio quando 
                scopre di essere tradita. Quando viene annunciato il ritorno di 
                lui, riprende a sperare, ma l'amante non compare e lei trova conforto 
                solo nel pensare a tutti quelli che soffrono per amore. Ruolo 
                di consolatori di Fiammetta hanno l'ignaro marito di lei, e la 
                vecchia balia. La vicenda e il fondo sono probabilmente autobiografici. 
                Boccaccio riesce a svolgere la vicenda con distacco imperturbabile 
                ma anche con profonda intuizione psicologica. La prosa è 
                però artefatta, spesso ampollosa, erudizioni inutili e 
                reminiscenze classiche rompono la fluidità del racconto. 
                Il trentenne Boccaccio sente ancora il bisogno di esibire una 
                erudizione che non c'entra molto con il racconto.  
                 
                 Meglio riesce a fare forse nel  Ninfale 
                fiesolano (1345-6), poemetto in ottave che, con il pretesto 
                eziologico (la fondazione di Fiesole e quindi di Firenze), racconta 
                una tenue e delicata storia d'amore tra il pastore Africo e la 
                ninfa Mensola, sacra al culto di Diana. Sapientemente dosato il 
                contrasto tra i toni realistici attinti alla tradizione popolare 
                e i toni lirici e melodici della poesia illustre.  
                 
                 A questo periodo risale anche il volgarizzamento 
                della III e IV decade della storia di Titus Livius. Scarso valore 
                le  Rime, un vasto canzoniere composto in vari periodo 
                della sua vita, e che subisce l'influsso poetico di vari autori 
                di volta in volta.  
                 
                 Posteriore al "Decameron" è il  
                Corbaccio (1365-6?), un'opera in prosa. Il titolo enigmatico 
                potrebbe alludere al corvo che, nelle opere morali tradizionali 
                simboleggiava la passione amorosa che tutto distrugge e travolge 
                e dalla quale si difende il chierico Boccaccio facendo rivelare 
                le malefatte di una vedova che l'ha respinto, dall'ombra del marito 
                defunto apparsagli in sonno. E' un aspro "vituperium", forse dettato 
                da circostanze biografiche. L'opera si iscrive nella tradizione 
                della satira misogina risalente a Iovenalis, e ripresa poi in 
                chiave spiritualistica e moralistica, ma anche beffarda e goliardica. 
                lo stile è intenzionalmente triviale e caricaturale: uno 
                stile già sperimentato nel "Decameron" ma qui esasperato. 
                Alla fine, la dispettosa amarezza del racconto è temperata 
                dalla decisione annunciata di dedicarsi d'allora in poi alle meditazioni 
                e agli studi.  
                 
                 In effetti, dopo il "Corbaccio" Boccaccio 
                non scrisse più opere narrative in volgare. Si dedicò 
                a studi più austeri. A partire dal 1360 riunì intorno 
                a sé un gruppo di umanisti, tra cui Coluccio Salutati e 
                Filippo Villani. Si dedicò con fervore a erudite opere 
                latine: il  Carmen di bucoliche (Bucolicum carmen, pubbl. 
                1367) è una raccolta di sedici egloghe di derivazione virgiliana 
                e petrarchiana. Si ricorda qui in particolare la XI, di cui Boccaccio 
                stesso ha dato una interpretazione in una sua epistola indirizzata 
                a Martino da Signa (epistola XXIII). Al centro della rievocazione 
                in veste bucolica delle vicende di Cristo, dal presepe al Golgota, 
                stanno i versi dell'Ultima Cena e della passione: «Poi cantò 
                [...] come il pio Atteone diede gli ordini estremi; come costui, 
                per la frode di Menalca [=Giuda], dopo la cena, lavati i piedi, 
                finite le preghiere, fu gettato ai cani [=ai giudei]: tra i quali 
                patì moltissime sofferenze, e le peggiori; e alla morte 
                diede trofeo di sé , da troppi morsi dei cani ormai sbranato 
                per cui si spaccarono le pietre, le sorgenti rifluirono dentro 
                le viscere della terra, si scossero le montagne». La trasfigurazione 
                bucolica di Cristo e della sua incarnazione fino alla passione 
                avviene, nell'egloga, sulla linea della ripresa delle stesse pagine 
                evangeliche nella "Genealogia" (XV, 9).  
                 
                 La  Genealogia degli dèi dei gentili 
                (Genealogia deorum gentilium, 1365) è un vasto trattato 
                in quindici libri di mitologia classico-latina. Con una forte 
                attenzione per le interpretazioni allegoriche che la tradizione 
                cristiana successiva aveva operato dei miti classici.  
                 
                 Il  Libro sui monti, le selve, le fonti, 
                i laghi, i fiumi, gli stagni e paludi, e sui nomi del mare 
                (De montibus, silvis, fontibus, lacubus, fluminibus, stagnis seu 
                paludis, et de nominibus maris liber, 1360) è un repertorio 
                ordinato alfabeticamente dei nomi geografici ricorrenti in opere 
                classiche latine. Casi di uomini illustri (De casibus virorum 
                illustrium, 1373) raccoglie una serie di aneddoti biografici di 
                grandi personaggi avversati dalla sorte, con intenti morali. Donne 
                famose (De mulieribus claris, 1361-2) sono 104 biografie di donne 
                famose.  
                 
                 Delle  Epistole ne restano solo 24, 
                due in traduzione italica.  
                 
                 Da non dimenticare di Boccaccio le opere 
                in volgare dedicati a Alighieri. Il  Trattatello in laude di 
                Dante ci è pervenuto in tre redazioni (1355-70): vi 
                si traccia un ideale ritratto del grande e ammirato poeta. Le 
                 Esposizioni sopra la Commedia di Dante è una raccolta 
                di materiale erudito sul poema alighieriano, in gran parte usato 
                per le lezioni che Boccaccio tenne, fino al 17 canto dell'Inferno, 
                in Santo Stefano.  
                 
                Contesto: indice Boccaccio 
              
             
            
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