Il
"Roman della rosa"
Il "Roman della rosa"
Compendio della cultura letteraria francese
è il poemetto allegorico- narrativo intitolato Roman
della Rosa (Roman de la Rose), la cui prima parte fu scritta
incompiuta da Guillaume de Lorris intorno al 1230; summa dell'ideologia
cortese, fu proseguita una quarantina di anni dopo, intorno al
1280, da Jean de Meung (ma il suo vero nome era Jean Clopinel)
con prevalenza erudita e filosofica e con proiezioni eterodosse
sia rispetto all'etica cristiana che alla stessa ideologia cortese.
E' l'unica delle grandi opere del tempo che non sia stata dimenticata
e di cui non si sia perduta conoscenza durante il rinascimento.
Il poemetto si compone di due libri in ottosillabi rimati, per
un totale di 21.780 versi. Il primo libro comprende 4.058 versi
ed è quello scritto da Guillaume de Lorris. L'opera è
concepita come una "ars amandi" cortese, sotto forma di narrazione
allegorica delle fasi di una conquista amorosa. I dati e gli atteggiamenti
della psicologia amorosa sono personificati. Secondo una metafora
già latina, l'amata è rappresentata da una rosa.
L'innamorato è contrastato da vari personaggi, e aiutato
da Bel-Accueil, che intercede perché egli possa cogliere
l'oggetto del suo desiderio.
La storia narra di un sogno che Guillaume de Lorris fece quand'era
ventenne. Si trovava in un giardino popolato da personaggi allegorici:
Pigrizia, Piacere, Dolcesguardo, Malalingua, Pericolo e Ragione.
Coadiuvato da alcuni e ostacolato da altri, l'Amante - cioè
Guillaume - cerca di cogliere la Rosa che cresce in questo giardino
e che è custodita gelosamente.
Un profonda diversità spirituale separa
la parte di Guillaume da quella di Jean de Meung. Guillaume, che
era nativo di Lorris [Montargis], fu uomo di cultura, chierico
e verseggiatore; dedicò l'opera alla sua dama per conquistarsene
i favori ma mirando anche a comporre una "ars amandi". Di Guillaume
sappiamo abbastanza poco. Risulta aristocratico, feudale, astratto
e estetizzante, usa il procedimento tipico dell'allegoria e, fortemente
impregnato del clima idealistico cortese, congela in una lenta
figurazione onirica e in eleganti stilizzazioni la precettistica
di Ovidius sull'amore. Il fascino di questa prima parte deriva
proprio dalla loro natura di visione, di viaggio iniziatico compiuto
all'interno della psicologia amorosa e dell'etica cortese. La
seconda parte, quella di Jean de Meug, pur fedele alla tecnica
dell'allegoria, segna un nuovo senso borghese della realtà
e della storia, si presenta al lettore come una enciclopedia delle
nozioni e delle idee del tempo: la vicenda della ricerca della
rosa è pretesto per una serie di digressioni etico- filosofiche
e critiche. Non mancano persino invettive contro le donne. Alcuni
hanno maliziosamente letto la parte di Jean de Meung più
che come una continuazione dell'opera di Guillaume de Lorris,
come di una confutazione oggettiva e implicita.
Di Jean Clopinel sappiamo che era nativo
di Meung-sur-Loire (c.1240. Morì nel c.1305) e che si dedicò
ai circa 18 mila versi della seconda parte nel periodo 1268-78.
Rispetto a Guillaume la sua sensibilità poetica è
meno raffinata, e non sa evitare prolissità e divagazioni,
ma rispetto a Guillaume è più complesso e nuovo.
La sua è una enciclopedica apertura verso i problemi della
cultura e della vita contemporanea, animata da una schietta passione
didattica e da uno spirito spregiudicatamente ironico, corrosivo
delle idealità e convenzioni cortesi, ricco di fermenti
moderni nel suo culto della natura e della ragione, nei vivaci
spunti di polemica e satira sociale.
Platone insegnava agli uomini colti del tempo
che solo una differenza gerarchica, ma non un'intensità
di trasporto, distingueva l'amore dei corpi dall'amore per i numeri
e per le idee. Le figure che l'allegoria dispiega possono essere
tra le più disparate ma è sempre Amore a percorrerle
con quella sua forza tipica che oltrepassa la prudenza della ragione.
Amore è un desiderio che vive lo spazio che lo separa dalla
conquista dell'oggetto amato, perché amore non conosce
il possesso ma solo la mancanza. Per questo Platone lo diceva
figlio di povertà e lo descriveva ispido scalzo e senzatetto.
Ma Amore è anche figlio di Poros, la via, il passaggio:
concede alla follia il suo transito che può irrompere così
sulla scena del quotidiano razionale. Amore non è godimento
dei corpi ma occupa il posto intermedio tra due estremi. Si fa
interprete tra la ragione che l'uomo ha costruito e la follia
che ancora lo abita. La follia anima la gioventù da cui,
recita il "Roman della rosa", «Amore esige il tributo». Il nesso
amore-gioventù fa riferimento alla capacità dei
giovani di rinnovarsi e trasformarsi. Per trasformarsi occorre
che Amore stravolga la visione del mondo, facendo di ogni cosa
un richiamo dell'oggetto amato, per cui tutto parla di lui. Si
conosce il mondo in un'altra modalità. Di qui la "vita
nuova" (di cui parlerà Alighieri), cui fa riferimento l'amor
cortese, e a cui perviene l'anima spinta nel suo vagabondare dalla
sua naturale disponibilità a amare. A attenderla è
«il roseto posto in luogo protetto e chiuso tutto intorno da una
siepe». Il protagonista, dopo aver superato «spine taglienti e
aguzze, ortiche e rovi» è attratto non «dalle rose aperte
e larghe che subito appassionano, ma dai boccioli ancora chiusi
che fanno corona alla Rosa». Le metafore sessuali si intrecciano
alle allusioni simboliche in un crescendo che raggiunge l'apice
quando l'amore umano riesce a esprimersi solo come amore cosmico.
Il riferimento cosmico che accompagna il viaggio verso la conquista
della rosa evita la solitudine della carne e la riduzione della
sessualità a cieca pulsione. D'altra parte desiderio rimanda
a de-sidera, e questo nel gusto etimologico-giocoso del tempo
non era ignoto.
Il Roman ebbe grande fortuna contemporanea
e successiva: si pensi solo al fatto che rimangono del "Roman
della rosa" circa 300 manoscritti; fu ripreso ad esempio nel "Fiore"
di Alighieri; nel XIV-XV secolo suscitò un lungo dibattito
che coinvolse teologi e letterati.
Contesto storico
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