Storia della letteratura europea - Torna in homepageHadewijch


 

Negli anni tra il 1220 e il 1240 scrive le sue Lettere, Poesie, Visioni una mistica come Hadewijch. Lei è la testimone di un ambiente, quello dei beghinaggi renano-fiamminghi fiorente nel XIII e nel XIV secolo. Si trattava di comunità femminili che vivevano, senza voti, una vita verginale fondata sullo studio e sul lavoro: comunità che furono luogo di libertà di cui non c'è parallelo nella storia della chiesa cattolica. Esse furono disperse poi violentemente, con l'obbligo di trasformarsi in monasteri femminili, quando la gerarchia ecclesiastica temette, nel secondo concilio di Lione, che il linguaggio mistico comportasse una negazione di quello etico: da allora il termine di "beghine" assunse una connotazione negativa. Le opere di Hadewijch furono scoperte solo nel 1838. Del linguaggio renano-fiammingo che raggiunse la sua maturità dottrinale in Eckhart e la massima divulgabilità culturale in Ruysbroec, Hadewijch è il primo anello. Le sue sorgenti letterarie sono nel platonismo cristiano che fiorì a partire da Giovanni Scoto (IX secolo) fino ai Vittorini, alla scuola cistercense, a Bernardo e soprattutto a Guglielmo di Saint Thery. Il pubblico di questa letteratura è costituito da monaci, si tratta di una teologia monastica. In Hadewijch il linguaggio perde il carattere di commento alla sacra scrittura, per diventare teologia mistica. Alla base di essa sta la continuità tra divino e creaturale, è il divino stesso la forma immanente che si impone sull'universo creaturale. L'anima umana è in continuità con la sua realtà increata in Dio, ne è l'immagine creaturale. Tra l'anima vivente come modello nell'essenza divina e l'anima creata, vi è una continuità che il Nulla della creazione non sopprime né attenua. La vita mistica consiste nel ricercare la realtà divina che vive in continuità con l'essenza dell'anima, la abita oltre la alterità del Creatore e della creatura. Nel linguaggio del secolo XI latino vive la dottrina dei padri Cappadoci del secolo V: l'uomo è immagine di Dio, il peccato toglie la somiglianza. La liberazione dal peccato che il Cristo compie con la sua opera redentrice ristabilisce nell'anima la somiglianza con il divino che il peccato aveva offuscato. Questo linguaggio è molto diverso da quello di grazia creata e natura, che diviene dominante nelle scuole di teologia e in cui farà sentire tutto il suo peso la concezione del peccato originale come colpa personale. Hadewijch guida una comunità di donne nella ricerca delle somiglianza perduta, ma partendo dalla certezza che la continuità con il divino, l'immagine, è ben presente nelle donne cui rivolge i suoi scritti. Di essi colpisce la semplicità . Il tono della libertà cristiano nello Spirito è parlato con dolcezza e pari fermezza.

 

 


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