Universitates
nel XIII secolo
Le universitates continuano a produrre. Se ne fondano di nuove:
Oxford, Vicenza (1204) e Padova (1222) sul modello di quella bolognese,
Roma istituita da Innocenzo IV con bolla papale nel 1244, Napoli
istituita da Federico II nel 1224 in alternativa a Bologna, Vercelli
(1228) si dota autonomamente di un proprio Studio. In tutto sono
attive una ventina di universitates (Paris, Cambridge, Padova,
Montpellier, Tolosa, Salamanca, Siena, Lisbona ecc.). Già
nel XII secolo si erano cominciati a elaborare degli Statuti,
che affermavano implicitamente la capacità di darsi autonoma
norma e libertà. Nel 1215 il legato pontificio Roberto
di Courçon concesse il sigillo dell'approvazione papale;
e nel 1231 gli universitari Parisni ottennero da papa Gregorio
IX una serie di privilegi (Paris è definita "parens scientiarum",
madre delle scienze, e gli studiosi sono chiamati a metter al
servizio della cristianità la cultura).
La cultura anglo-latina si sviluppa anche grazie alla fondazione
delle universitates di Oxford e di Cambridge. Centri di cultura
latina sono le scuole legali (Inns of Court) londinesi. A Oxford,
con indirizzo sperimentale, Ruggero Bacon (morto nel 1294) continua
il naturalismo della scuola di Chartres. In questo secolo opera
uno storico come Matthew Paris (c.1200\1259).
In latino sono scritte le cose considerate più importanti
dalla cultura ufficiale del tempo. Così le opere filosofiche.
Si tratta di summae, commentarii, quaestiones che recuperano anche
Aristotele tramite i testi arabi: una specie di dibattito triangolare,
con centro a Paris, tra averroisti (Sigieri da Brabante), domenicani
(Alberto Magno, Tommaso da Aquino), francescani (Bonaventura da
Bagnorea, Duns Scoto). Per quel che riguarda il dibattito estetico,
a grandi linee sono due le correnti che in europa si contendono
il campo. Una di derivazione platonica e una aristotelica, anche
se poi si tratta sempre di estetiche a forte impronta religiosa
cristiana. La metafisica del bello come riverbero sensibile della
luce del Verbo è il contributo essenziale dei pensatori
di tradizione neoplatonica: dopo i contributi di Augustinus (IV-V
secolo) e dello pseudo-Dionigi Aeropagita (V secolo) che rimangono
autori di riferimento, è ora Roberto Grossatesta (1175\1253)
e Bonaventura da Bagnoreggio (1217\1274). Essi elaborano la nozione
di simbolo, cifra sensibile di un significato trascendente. Di
Bonaventura, accanto alla sua opera di normalizzazione del francescanesimo,
sono alcune importanti opere teologiche: l'opuscolo "Riconduzione
delle arti alla teologia", "La conoscenza di Cristo",
il trattato "Il mistero della Trinità ", e soprattutto
il celebre "Itinerario della mente in Dio". L'eredità
aristotelica traspare invece maggiormente nel pensiero di Tommaso
da Aquino (1225\1274), più attento alla specificità
dell'opera bella, di cui definisce i canoni: "claritas",
"proportio", "integritas"; sua anche l'attenzione
al fare produttivo, e quindi anche artistico, che contrappone
all'agire (che appartiene alla sfera etica).
Già dal 1230 circa entrano a Paris i primi testi aristotelici
nella facoltà di teologia. Alla metà del secolo
è la lettura di Aristotele con il commento di Averroè,
la guida più "materialista" dei suoi commentatori, da parte
dei maestri delle facoltà delle arti - quelli meno legati
alla Chiesa cattolica. Essi cominciano a distinguere le verità
che si conoscono con la fede da quelle che si raggiungono in piena
autonomia con la ragione, nell'ordine della natura. Nel 1270 e
nel 1277 le tesi degli averroisti sono condannate dal vescovo
di Paris, anche su suggerimento del papa, e i maestri che ne
sostengono le tesi sono espulsi dall'universitas.
Il libro universitario
La presenza delle universitates incide non solo sui costumi e
sulla nascita di nuovi ceti e figure umane (lo studente, il maestro
universitario) ecc., ma anche sulla storia del libro. Per far
fronte ai bisogni librari dei nuovi centri di cultura, la stessa
produzione libraria tradizionale deve mutarsi e mettersi al passo.
Nasce, con la comparsa delle universitates e i bisogni della cultura
più diffusa, un libro nuovo. Il libro dei secoli precedenti
in Europa era stato sostanzialmente il codice, prodotto all'interno
degli scriptoria dei monasteri, destinato a rimanere
dentro il monastero, a costituirne in molti casi parte dei beni
materiali, utilizzato per la lettura collettiva ad alta voce.
Il libro universitario risponde a esigenze di fruizione diverse.
Copiato nelle piccole botteghe artigiane di scrittura laici, è
opera della mano di un copista di professione che, con un apposito
contratto, riceve l'incarico della trascrizione. Il libro diventa
un bene destinato alla vendita, usato per lo studio individuale
degli studenti. Al suo interno il codice unievrsitario presenta,
in maniera sempre più standardizzata e tipica, la pagina
scritta su due colonne; ampi margini sono destinati a contenere
le glosse (i commetni al testo). Si comincia a dividere le singole
parole all'interno del testo (cosa che non si faceva prima, nei
codici monastici); si inseriscono titoli in rosso (rubricae),
e segni di paragrafo in modo da evidenziare le parti con cui è
articolato il discorso. Si introduce il sistema della pecia.
Per far fronte alle continue richieste di libri di testo, ma anche
per vigilare sull'autenticità e correttezza dei testi,
in molte università europee (soprattutto Paris e Bologna),
ai primi del XIII secolo, si elabora un sistema di moltiplicazione
dei libri particolare. Si fa una copia ufficiale dei libri di
testo (exemplar). Questi exemplares sono scritti in fascicoli,
tutti della stessa lunghezza (peciae). Viene affidato
agli stationarii (funzionari librai) il compito di conservare
gli exemplares, e di affittare le peciae. Una commissione di petiarii,
eletti tra i professori, verificava all'inizio dell'anno accademico
la correttezza testuale e ne fissava il prezzo di locazione. Viene
redatta una lista ufficiale di questi exemplares, con accanto
la tariffa, che lo stationarius deve affiggere alla bottega. Con
questo sistema i copisti professionisti potevano affittare la
pecia necessaria per trascriverne il testo; ed era possibile sveltire
il processo di copia del testo (diviso in tante peciae). Capitavano
degli incidenti: finita la trascrizione di una pecia, un copista
poteva non trovare più la pecia successiva (data in locazione
a qualcun altro), per cui era costretto a "saltare" alla pecia
ancora successiva lasciando delle pagine bianche, pagine che potevano
risultare non sufficienti quando la pecia mancante veniva finalmente
trascritta o risultare eccessive ecc. Il sistema della pecia fu
tuttavia in grado, negli ambienti universitari, di far fronte
alla domanda crescente di copie di libri di testo, e alla necessità
del controllo su quanto veniva trascritto e diffuso.
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