Storia della letteratura europea - Torna in homepageAugustinus: opere


Augustinus: opere

La sua vita, ma soprattutto la sua esperienza spirituale connessa con la conversione, è narrata, in un continuo dialogo con dio, nelle "Confessioni" (Confessiones) scritte nel 397-401, in 13 libri. E' la sua opera più originale, tra le cose migliori che siano state scritte, per introspezione psicologica, travaglio e acutezza di speculazione. E' una specie di autobiografia (ma gli ultimi 3 libri riguardano i primi capitoli della Genesi), in un continuo contrappunto tra una storia personale che tende all'autodistruzione e le tracce di salvezza introdotte in essa da dio.
Pregevole anche da un punto di vista letterario è la sua opera più corposa, La città di dio (De civitate Dei, 413-26), in 22 libri. Si tratta di una colossale - soprattutto per gli standard occidentali dell'epoca - sistemazione della cultura antica e della dottrina cristiana, in una interpretazione teologica della storia.
Tra le altre opere filosofico-teologiche: Trinità(De Trinitate) in 15 libri; Contro gli accademici (Contra academicos) in tre libri; Immortalità dell'anima (De immortalitate animae); Dottrina cristiana (De doctrina christiana) in quattro libri; La vera religione (De vera religione); oltre a 363 sermoni e a 270 epistole.
Tra gli scritti che possono avere un interesse per l'influsso esercitato sul mondo della cultura, sono "L'ordine" e "Il maestro".
Ne L'ordine (De ordine) scrive sulle arti liberali, sottolineando il loro valore liberatorio per l'uomo. Il saggio è scritto negli anni milanesi, di scoperta del platonismo e del cristianesimo. Anche attraverso un trattato come questo inizia quel mutamento semantico del termine "liberale" che alluderà a una dignità nuova e più universale della grammatica e della retorica greco-romane: il loro studio infatti, per i pensatori cristiani successivi, sarà dato per rendere 'liberi', innalzare la mente, mentre per gli antichi era degno di uomini già 'liberi', ma soltanto in senso sociale e economico, liberi dalla fatica del lavoro. Augustinus ripercorre i temi delle arti liberali non più esposti in trattati ma dimostrate nella loro funzione di 'exercitatio animi', momenti salienti della scoperta della ragione del mondo. In questa prospettiva, la filosofia è ricerca e sviluppo e non fine ultimo; la verità sta già nella disciplina più elementare, la grammatica. «Quella parte di noi che è ragionevole [...] vedendo che l'uomo era legato da un vincolo naturale di socievolezza con coloro che avevano in comune le stesse capacità e che si poteva associare a loro solo tramite il linguaggio [...] comprese che era necessario imporre dei suoni alle cose ossia che certi suoni significassero certe cose». La grammatica è ordine e capacità di distinguere e analizzare vocaboli, imporre regole di associazione. Il discorso però non assolverebbe il suo compito di proposta di verità senza l'intervento della «disciplina delle discipline o scienza delle scienze» ossia della logica o dialettica che «insegna a insegnare e impara a imparare». Ma poiché , scrive Augustinus, «gli uomini sono generalmente stolti e non si attengono alla verità che l'animo del resto raramente intuisce ma seguono le abitudini [...] era necessario non solo ammaestrarli ma anche commuoverli. La ragione chiamò retorica la disciplina, colma di piacevolezze volta a questo scopo, più necessaria che pura».
Complesse le tesi de Il maestro (De magistro). Si tratta di un dialogo con il figlio diciassettenne Adeodatus [che, tra l'altro, morirà di lì a poco], scritto a Tagaste nel 389. La domanda che dà l'avvio al saggio è : «Che è quel che ci proponiamo nel parlare?». Augustinus era un retore, ma la conversione al cristianesimo lo impegnava con particolare forza a analizzare il concetto di verità e come giungere alla sua espressione. «Con le parole impariamo solo le parole stesse. Anzi, il loro suono, il rumore che fanno [...]. Quando imparai qualcosa, credetti ai miei occhi, non alle parole altrui». Augustinus giunge alla conclusione che tutto si muove e si dice perseguendo una volontà di insegnare, ma le «parole possono solo sollecitare gli uomini a imparare» perché «pochissimo traspare, in esse, di ciò che pensa colui che parla». Attraverso sottili disquisizioni, ricorda che solo Gesù Cristo nella 'storia' può essere chiamato «maestro», solo lui ne ha la totale autorità. L'uomo che vuole essere maestro può solo trasmettere la verità rivelata, con i suoi discorsi favorire la passione della ricerca, dove sapienza e intelligenza diventano carisma quando sanno dare voce all'esperienza.
Le parole informano sulle cose. Ma nella seconda parte del dialogo Augustinus opera un rovesciamento. I casi sono due, dice: o chi parla produce un segno che rimanda a una cosa sconosciuta a chi ascolta, o viceversa chi ascolta conosce già la cosa a cui rinvia il segno. In tutti e due i casi non si ha progresso di conoscenza e il segno non aumenta ciò che gli uomini sanno. Come si fa allora a far crescere la nsotra conoscenza? Se parliamo di cose sensibili il mezzo è la percezione diretta; se parliamo di realtà intelligibili la via è la contemplazione della Verità interiore a ciascun uomo, l'unico vero Maestro. Augustinus vede come le conversazioni umane sono monologhi paralleli, scambi non di idee ma di parole; tuttavia le parole scambiate anche se non ci comunicano le idee di chi parla, risvegliano le nostre idee e provocano il nostro ascolto interiore, ci 'avvertono': «una volta uditi i segni, ossial le parole, l'attenzione si porta sulle cose significate».


Indice Augustinus

[1996]

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