Seneca:
opere morali
Seneca: opere morali: i "Dialoghi"
Seneca fa coincidere la libertà con la dignità
personale, introduce nella cultura romana l'ideale del saggio,
di colui che è capace di indipendenza interiore; per lui
la vita è preparazione alla morte. Seneca inventa un nuovo
stile paratattico, epigrammatico, fatto di antitesi e dissonanze.
Molte delle opere filosofiche di Seneca sono andate perdute. Rimangono
i dodici libri di Dialoghi che però non hanno vera e propria
forma di dialogo (tranne uno): parla sempre Seneca rivolgendosi
a un dedicatorio dal quale spesso fa porre alcune domande e obiezioni.
I "Dialoghi" furono composti nell'arco di 25 anni: non sono stati
raccolti da Seneca, non sappiamo chi abbia effettuato la raccolta
e su quali criteri si sia basato. Il codice più antico
che possediamo (l'Ambrosianus, conservato nella Biblioteca Ambrosiana
di Milano) risale all'XI secolo, presenta errori di trascrizione
corretti da ignoto nel secolo successivo. L'ordine con cui sono
presenti in questo codice i dieci dialoghi non è cronologico.
Basandoci su prove e ipotesi interne ai testi, si ipotizza un
ordine cronologico di questo tipo:
Consolazione indirizzata a Marcia (Consolatio ad Marciam),
risalente al 37+ o al 40-41+. Sono 26 capitoli indirizzati alla
figlia di Cremutius Cors (storico, autore di "Annales") che
lamenta da tre anni la perdita del figlio Metilius. Seneca vuole
dimostrare che la morte è un bene perché libera
l'uomo dai molti mali che lo affliggono, e il saggio deve accogliere
con serenità l'evento più certo, inevitabile e
inprovviso della vita, nessun bene è coperto da garanzia,
bisogno godere dei nostri beni giacché ciò che
ci è dato può esserci tolto entro la prossima
notte o in questo stesso momento («nihil de hodierna nocte promittur,
nihil de hac hora»).
L'ira (De ira), in cui si deplora la crudeltà di Caligula
morto nel 41+ e dunque datato intorno a quell'anno. E' l'unico
'dialogo' diviso in tre libri mentre tutti gli altri sono in unico
libro. Il dialogo è dedicato al fratello Novatus. L'argomento
sono le passioni umane, oggetto di studio in Grecia con Teofrasto
e poi nella letteratura stoica. L'ira è definita terribile,
furibonda, disumana, simile alla follia, la più pericolosa
delle passioni giacché mentre le altre hanno una componente
di calma e in ogni caso «si notano», l'ira «risalta», arriva a
trasformare i lineamenti del volto. Su questo argomento è
anche l'omonimo trattato di Ploutarkhos (Perì orghès,
in: Ethikà).
Consolazione indirizzata a Helvia (Consolatio ad Helviam, 42-43),
in 20 capitoli. In questo 'dialogo' alla madre riprende un tema
presente anche ne "La vita beata": l'esilio è un nome vano,
per il saggio la condizione dell'esule non è infelice giacché
per lui la vera patria è il mondo è l'esilio è
solo un mutamento di luogo e non toglie all'uomo il vero bene
che è la virtù. Consolazione indirizzata a Polybius
(Consolatio ad Polybium, 43-44), in 18 capitoli. Di carattere
cortigiano.
La brevità della vita (De brevitate vitae, 49-50), dedicato
a Paolinus, in 20 capitoli.
La fermezza del sapiente (De constantia sapientis, 55-56), dedicato
a Serenus, in 19 capitoli. Affronta il problema se il saggio debba
essere collocato al di là dello sdegno o dell'offesa; per
Seneca è invulnerabile non ciò che viene colpito
ma ciò che non è danneggiato («invulnerabile est
non quod non feritur, sed quod non laeditur»).
La vita beata (De vita beata) datato quasi unanimamente al 58+
a causa della presenza di un riferimento personale all'accusa
di Publius Suillius a Seneca. Dedicato al fratello Gallio, in
28 capitoli. Di contro all'epicureismo vuole dimostrare che la
felicità non è nel piacere ma nella virtù,
la saggezza consiste nel non allontanarsi dalla propria natura:
«beata est ergo vita convenines naturae suae».
La tranquillità dell'animo (De tranquillitate animi, 61),
è il 'dialogo' che ha struttura dialogata al contrario
degli altri. Dedicato a Serenus, in 17 capitoli. L'argomento è
affine a quello de "L'otium": la ricerca di quali cose possano
difendere la tranquillità e quali rimedi esistano contro
i vizi che si annidano in noi. Si veda anche l'omonimo dialogo
di Ploutarkhos. Seneca bolla tra l'altro la nevrosi dei ricchi
che li spinge a cambiare continuamente luogo nel tentativo di
eludere un confronto razionale con le proprie ansie esistenziali;
L'otium (De otio, 62), dedicato a Serenus, in 8 capitoli. Il testo
è mutilo dell'inizio e della fine. Si fa l'elogio dell'otium,
il solo che consente al saggio di vivere in piena comunione con
i veri valori, quelli non caduchi. Il cristianesimo lesse questo
testo come invito alla contemplazione e alla comunione con il
divino. Una domanda di Serenus pone la questione se il saggio
debba o meno partecipare alla vita politica: Senaca risponde che
non esiste uno Stato in cui il sapiente possa agire coerentemente
con i propri princìpi.
La provvidenza (De providentia, 64-65? o ai primi anni dell'esilio?)
dedicata a Lucilius, in 6 capitoli. Dato anche il tema, tanto
dibattuto da teologi e moralisti cristiani, è il primo
dei 'dialoghi' presenti nel codice ambrosiano. Seneca si chiede
per quale ragione anche ai buoni capitano tante avversità,
e si risponde che all'uomo buono non può capitare propriamente
nulla di male perché i contrari non sono tra loro mescolabili;
il male ha lo scopo di fortificare l'uomo buono, è dunque
un bene.
Seneca dà prova della sua bravura di scrittore, capace
di volta in volta di ritrarre con accorata partecipazione, ironia,
senso dell'umorismo, le nevrosi della società giulio-claudia:
si vedano "La tranquillità dell'animo" e "La brevità
della vita". In quest'ultimo si dimostra quanto la vita sarebbe
lunga se solo sapessimo usare proficuamente il tempo a disposizione
(vita «satis longa est [...] et in maximarum rerum consummationem
large data est si tota bene collocaretur»).
"La brevità della vita" fu scritto probabilmente appena
dopo il suo ritorno dalla Corsica dopo nove anni di esilio: ora
ha davanti lo spettacolo vorticoso della capitale dell'impero,
il turbinio frenetico delle cariche, di affari, di voglie, che
lo disgusta e lo induce a tessere un ennesimo elogio del saggio
che sa calcolare e utilizzare il tempo e non lo riempie di cose
inutili perdendolo per strada. Il tempo è la sua ossessione,
non lo si può fermare ma almeno lo si può impiegare
meglio. Osservatore dei comportamenti umani prima ancora che banditore
di una morale, nei capitoli 12 e 13 addita i quizzaioli, il collezionista
che si tormenta per mettere insieme bronzi rari, chi passa le
giornate in palestra a guardare gli atleti, o dal barbiere a tenere
consulto su un capello, chi mantiene giovani campioni e chi non
fa che imparare e ascoltare musichette. Tutti perditempo, gente
che lo riempie di nulla: compreso i politici. Proprio mentre accetta
l'incarico di precettore di Nero, ne "La brevità della
vita" consiglia al destinatario dell'operetta - probabilmente
suo suocero che gestiva gli approvvigionamenti di Roma - di lasciar
perdere tutto, abbandonare la carica. Finisce concludendo con
i morti per superlavoro: chi ostinandosi a perorare cause che
rimase stroncato da un infarto durante una arringa in tribunale,
e chi morì reclinando il capo su un libro di conti con
gioia per l'erede. Già in questa vita invece ci attende
«un gran numero di buone attività, l'amore e la pratica
della virtù, il superamento delle passioni, la scienza
del vivere e del morire, un profondo riposo».
I problemi trattati nei "Dialoghi" sono presenti in tutta l'opera
di Seneca. Il suo è sempre un intento morale. Sono i problemi
dibattuti dallo stoicismo, da cui a volte si allontana per dire
il suo personale pensiero. Le fonti sono lo stoicismo, l'epicureismo,
i pitagorici, i cinici, Aristoteles, Teofrasto, Posidonio, Panezio,
Cicero. Quella dei "Dialoghi" è una filosofia pratica,
non priva di compromessi e contraddizioni, che si propone di risolvere
i problemi della vita, aiutare l'uomo a conoscersi, a liberarsi
dalle passioni e dai timori facendo uso della ragione. Seneca
propone un cammino ideale, realizzabile solo nel profondo dell'animo,
a cui non corrisponde sul piano pratico una vita pienamente conforme
giacché la materia è sorda.
Indice Seneca
[1997]
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