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Cinema e fotografia
Ancora una volta il cinema si presenta come
produzione di un prodotto al cui successo e alla cui efficacia sono
chiamati a concorrere una serie di persone diverse.
Essendo arte visiva, l'apporto del direttore
della fotografia è sempre fondamentale. Dalla fine della
guerra occorre ricordare qui, succintamente, gli apporti di Floyd
Crosby nei films realizzati negli anni '50 e '60; le atmosfere penetranti
di Laszlo Kovacs ("Cinque pezzi facili", "Il re dei Giardini di
Marvin" di Rafelson), collaboratore di Bogdanovich e di Scorsese;
Vilmos Zsigmond capace di atmosfere deliranti in "I compari", "Images",
"Il lungo addio" di Robert Altman, "Incontri ravvicinati del terzo
tipo" di Spielberg; le atmosfere sempre al confine con il cinema-verità
di Haskell Wexler ("La conversazione" di Coppola, "I giorni del
cielo" di Terence Malick, "American Graffiti" di Lucas); Gordon
Willis che ha lavorato alle varie parti del "Padrino" di F.F. Coppola,
con Alan Pakula ("Una squillo per l'ispettore Klute", "Tutti gli
uomini del presidente", "Arriva un cavaliere libero e selvaggio")
e, a partire da "Manhattan", ai films di Woody Allen; Carlo Di Palma
che ha collaborato con Woody Allen a partire da "Hannah e le sue
sorelle"; Vittorio Storaro che ha collaborato con Bernardo Bertolucci,
e con Coppola a partire da "Apocalypse now"; Wim Wenders si è
servito delle matematiche esattezze fotografiche di Robbie Müller;
Rainer Werner Fassbinder è cresciuto con i deliri sontuosi
prima di Michael Ballhaus e poi di Xaver Schwarzenberger; Truffaut
e Rohmer si sono serviti di Nestor Almendros.
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