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Sergio Leone


Sergio Leone

A Leone si deve l'origine del western-spaghetti. Figlio del regista del cinema muto Vincenzo Leone (che aveva usato come cognome lo pseudonimo di Roberto Roberti) e dell'attrice di film avventurosi Bice Valerian, Sergio Leone nacque nel 1929 a Roma. Interruppe gli studi di legge per dedicarsi al cinema. Prima di diventare regista western, fece una gavetta: 58 aiutoregie e due film come regista. Due film appartenenti al genere mitologico: Gli ultimi giorni di Pompei e Il Colosso di Rodi (1960). In quegli anni il genere mitologico era ormai decotto, e Leone era praticamente disoccupato. Per lui e per i suoi colleghi Corbucci, Tessari, Enzo Barboni, tutti specialisti del filone "muscoli e sandaloni", si profilano tempi cupi. Nel 1962 i tre (Leone, Corbucci e Tessari) vanno al cinema a vedere un film di Akira Kurosawa: "La sfida del samurai" (1960), protagonista il samurai solitario Sanjuro (Toshiro Mifune) che giunge in un villaggio conteso tra due bande locali, si vede prima a una famiglia e poi all'altra, fa piazza pulita dei cattivi e libera il villaggio. Il film deriva da un racconto di Dashiell Hammett, "Red harvest" (1929).
A Leone viene l'idea di un western. Trova l'appoggio dei produttori Giorgio Papi e Enrico Colombo titolari della Jolly Film. Il progetto è un film western a bassissimo costo da girare in Spagna: in Spagna erano stati girati alcuni film del filone mitologico, c'erano problemi di bassi costi ma anche paesaggi naturali che a Leone e agli altri aiuto-registi aveva ricordato molto i paesaggi tipici del western. Titolo provvisorio del film è "Il magnifico straniero", regia di Leone (firmato Rob Robertson, nome americano per contrabbandare la merce e evocare la famiglia: figlio di Roberto), con l'aiuto-regia di Tessari, dello spagnolo Victor Catena e del tedesco Gunther Schock (quest'ultimo sa tanto di pseudonimo, ma non sappiamo nulla di costui). Il quartetto ricalca il film di Kurosawa, rispettando anche il duello finale a armi ì mpari tra l'eroe e l'antagonista (in Kurosawa spada contro pistola, in Leone pistola contro fucile). Akira Kurosawa non prenderà molto bene il plagio, anche perché altri suoi film erano serviti da modello per film western: "I sette samurai" (1954) era stato trasformato dagli americani ne "I magnifici sette" (1960), mentre "Rashomon" (1950) era servito per "L'oltraggio" (1964) di Martin Ritt. Mentre gli americani avevano rispettato i diritti d'autore, gli italiani non ne avevano tenuto conto: Kurosawa si assicurerà il 50% degli incassi giapponesi e il 15% degli incassi mondiali, facendo probabilmente uno dei migliori affari della sua carriera. Il film prenderà come titolo definitivo quello di Per un pugno di dollari (1964). Per la parte del cattivo Ramón Rojo, Leone sceglie l'attore italiano Gian Maria Volontè che per il suo primo western adotta lo pseudonimo di John Wells. Per il ruolo del protagonista Leone vorrebbe Henry Fonda, poi James Coburn, ma costano troppo. Ripiega su un giovane attore statunitense, coprotagonista di una serie televisiva western molto popolare negli USA, "Rawhide": attorno a Clint Eastwood costruisce il personaggio che diverrà un mito: barba lunga, poncho, sigaro stretto tra le labbra, un mulo come cavalcatura. Nel doppiaggio italiano avrà la bellissima voce di Enrico Maria Salerno. E' l'uomo senza nome, lo straniero che si fa chiamare Joe, che arriva un bel giorno a San Miguel, villaggio di frontiera dominato da due famiglie: i gringos Baxter e i messicani Rojo. Joe è artefice della fine delle due bande. Se ne va, tornando nel nulla da cui è venuto. La novità più clamorosa del film non è nel personaggio ma nelle sparatoie, nei duelli dai tempi dilatati. Una buona dose di violenza nuova per il pubblico: il pestaggio di Joe a opera di Rojo, l'eccidio della famiglia Baxter. E innovazioni stilistiche: primi piani stretti sui volti bruciati dal sole, dialoghi brevi, secchi, come sentenze. Leone sperimenta per primo l'inquadratura della pistola ripresa in primo piano che spara sui bersagli sullo sfondo.
Nonostante gli ingredienti spettacolari, il film non piace ai produttori né agli esercenti di sala, che pronosticano un insuccesso. Invece Per un pugno di dollari polverizza ogni record d'incasso (3 miliardi e 182 milioni solo in Italia). L'imprevisto megasuccesso convince molti produttori a dedicarsi intensamente allo sfruttamento del filone.

Leone inizia così la sua "trilogia del dollaro". Replica il successo con Per qualche dollaro in più (1965). Accanto a Eastwood e a Volontè pone Lee Van Cleef, attore che aveva fatto il cattivo di secondo piano in numerosi western americani, e il vulcanico Klaus Kinski in un ruolo secondario ma essenziale. Il film racconta l'amicizia tra due bounty-killer, il giovane Monco (Eastwood) e il vecchio colonnello Douglas Mortimer (Van Cleef): entrambi alla caccia del satanico desperado El Indio (Volontè) e della ferocissima banda. Il Monco mira alle taglie, Mortimer invece agisce anche per vendetta. Il film si conclude con un duello finale, commentato dalle note del carillon di un orologio da tasca, sulle quali l'autore della colonna sonora, Ennio Morricone, irrompe con un brano da brividi per tromba solista. "Per qualche dollaro in più " viene venduto a scatola chiusa in USA per mezzo milione di dollari.

Con il terzo film della trilogia, Leone abbandona lo pseudonimo fin qui usato, quello di Bob Robertson. Il buono, il brutto, il cattivo (1966) è un film picaresco. Eastwood fa la parte del Biondo, mentre Sentenza, il cattivo, è interpretato da Lee Van Cleef. Il terzo incomodo è il brutto, cioè il comico: l'istrionico Eli Wallach, che aveva recitato ne "I magnifici sette" (1961) regia di John Sturges, uno dei pochi grandi western degli anni '60. Wallach interpreta il messicano Tuco. Gli sceneggiatori Age e Scarpelli sfornarono una valanga di battute per Tuco, povero affamato volgare e straccione, sempre in fuga come una lepre rincorsa dai cani, un buon selvaggio che può diventare cattivo quando ha in mano una pistola. Tuco è sporco, mangia e rutta, possiede una furbizia animalesca. Nonostante tutti i suoi sforzi si ritrova sempre con un palmo di naso. Il film racconta una caccia al tesoro condotta da tre tipastri nel bel mezzo della guerra civile statunitense. Nel finale, l'uomo senza nome si allontana per l'ultima volta verso l'orizzonte.
Famoso in tutto il mondo, Leone è l'unico regista di western spaghetti che riesce a fare incassi record in USA. Il titolo del suo ultimo film viene citato anche da Bob Kennedy in un discorso in campagna elettorale ("Il Buono è mio fratello, il Brutto è Nixon, e il Cattivo è McNamara!").
Grazie alla fama conquistata, Leone passò a film di maggiore ambizione. Finanziato dalla Paramount è il primo titolo della nuova trilogia della serie "c'era una volta": C'era una volta il West (1968) è la sua opera più matura e fedele alla tradizione. Seguirono Giù la testa, sulla rivoluzione messicana, e C'era una volta in america sul gangsterismo. "C'era una volta il West", prodotto dalla Paramount, è il tentativo del regista di far convivere gli stereotipi della tradizione classica western (l'ex prostituta dal cuore d'oro, la ferrovia che avanza, il bandito filosofo, il banchiere parassita) con elementi del western-spaghetti: la vendetta, l'uomo senza nome. L'uomo senza nome è qui Armonica, interpretato da Charles Bronson (che aveva già lavorato ne "I magnifici sette"), ha la missione tragica di vendicare il fratello, ucciso anni prima da Frank, il cattivo. Per la parte di Frank, malvagio pistolero capace di sparare a un bambino sorridendo, Leone sceglie Henry Fonda, attore-simbolo del cinema hollywoodiano, da sempre interprete di ruoli positivi e da "buono". In "C'era una volta il West" l'epopea della vendetta avviene mentre il West sta morendo, ucciso dal progresso. Scrive * Di Giammateo: "una adorante-dissacrante celebrazione del mito, fatta di movimenti di macchina vertiginosi, di indugi esasperanti, di furenti accelerazioni ritmiche, di primi piani e di dettagli mostruosamente dilatati" [1]. Morricone scrive uno dei più bei temi della sua carriera musicale. Il film ha carattere epico, malinconico, non ha il successo previsto di pubblico. Leone decide di chiudere con il western, di dedicarsi a films di altro genere.

Nel 1971 Leone dirige Giù la testa. Il film lo avrebbe dovuto solo produrre, ma i registi scelti (Peter Bogdanovich, e poi Sam Peckinpah) si tirarono indietro. La regia fu affidata all'esordiente Giancarlo Santi, che era stato aiuto-regista di Leone ne "C'era una volta il West", ma i due protagonisti, James Coburn e Rod Steiger, non vollero farsi dirigere da uno sconosciuto. Leone, di malavoglia, fu costretto a prendere la regia. "Giù la testa" è un tortilla-western, racconta la storia dell'incontro tra un bandito messicano (Steiger) e un ex terrorista irlandese esperto nell'uso della nitroglicerina (Coburn).

Del 1973 è la produzione del film Il mio nome è nessuno, regia di Tonino Valerii, film che segna la fine del spaghetti-western.
Nel 1984 è C'era una volta in America. Leone esce definitivamente dal western, con l'ambizione di fare l'epopea storica degli USA. Dopo l'avventura dei suoi western-spaghetti, è l'approdo a ambizioni di cinema più alto e complesso. Siamo davanti a un kolossal su cinquant'anni di storia nordamericana, dal 1922 al 1970, attraverso la vita e le avventure di due gangsters, Noodles (interpretato da Robert De Niro) e Max (James Wood): dall'infanzia fatta di amicizia, complicità contro il resto del mondo, fino alla separazione da adulti, innamorati di una stessa donna, Deborah (Elizabeth McGovern): un'ossessione che li accompagnerà fino alla morte. Un film che ha il respiro della saga, e in cui si sente la nostalgia del vecchio cinema, da parte di un cineasta innamorato del proprio mestiere e del mito dell'America. Una visione malinconica non solo di una vicenda, ma della condizione umana: così il finale tra il surreale e l'onirico: Noodles vecchio, appena uscito dal cancello della villa in cui ha rivisto il vecchio ex amico che credeva morto, che vede il camion della spazzatura con il trituratore passare. Si vede una figura uscire dalla villa (è Max? non sappiamo). Il camion passa, nasconde il cancello con la sua mole. Il vecchio Noodles guarda il tritarifiuti. E' qualcosa che intuiamo, che non c'è bisogno di mostrare: che Max è finito in quel modo. Quasi una forza ineluttabile, anonima. Nella scena immediatamente successiva è Noodles giovane, in una fumeria cinese: c'è il teatrino delle ombre cinesi (il cinema deriva da quella tradizione, i personaggi sono solo ombre proiettate su uno schermo. ma anche gli uomini, la realtà, è ombra...), Noodles fuma la pipa d'oppio. Il film termina con l'inquadratura del faccione sorridente, straziante nella deformazione dello sfinimento della droga, di Noodles.

Leone morì a Roma nel 1989 mentre stava preparando un film sull'assedio di Leningrado.

Note:
[1] Dizionario del cinema : cento grandi registi / Fernaldo Di Giammatteo. - Roma . Newton Compton, 1995. - p. 54.

Filmografia: Sergio Leone

Gli ultimi giorni di Pompei
Il Colosso di Rodi
Per un pugno di dollari (1964)
Per qualche dollaro in pił (1965)
Il buono, il brutto, il cattivo (1967)
C'era una volta il West (1968)
Gił la testa (1971)
C'era una volta in America (1984)

Contesto

Il cinema dopo il 1945


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