Storia della letteratura europea - Torna in homepageEuripìdes


Euripìdes

Per Euripìdes tra mondo umano e mondo divino non esiste comunicazione. L'individuo è in balia delle sue passioni. Euripides è scettico sulla verità dei miti, ma li usa ancora. Il male risulta indecifrabile, e l'unica cosa che esiste non è la divinità ma il desiderio degli uomini per una fede.
Euripides nacque a Salamina nel c.485- (morì a Pella nel 406-) da un proprietario terriero di nome Mnesarco o Mnesarchide, e da Clito, che i commediografi dissero erbivendola. Molti dati sulla sua vita sono presenti nei malevoli commediografi, ma si tratta in gran parte di notizie inattendibili. Si sa che da giovane fu adepto del culto di Apollo. Ebbe tre figli, vinse poche volte nelle gare teatrali. Morì all'estero, alla corte di Archelao, a Pella [Macedonia], e fu commemorato da Sofokles durante la festa teatrale delle grandi dionisie nella primavera del 406-.
La sua opera rivela una educazione raffinata, un vivissimo interesse per il movimento filosofico della sofistica, una posizione scettica nei confronti della religiosità tradizionale. Partecipò vivacemente alla vita della città ma mai alla attività politica diretta. Secondo una tradizione, compose i suoi drammi in una grotta di fronte al mare: è una leggenda che contiene un dato sociologico reale, e cioè il progressivo isolarsi dell'artista dalla comunità.
Controverso il numero delle sue opere. Si parla di 88 opere. Sono rimaste 18 trago:idì ai, di cui una spuria (Reso), e un dramma satiresco, Il Ciclope.
In Medea (431-) Giasone, per sposare la figlia di Creonte re di Corinto, ha abbandonato Medea, la maga che lo ha aiutato a conquistare il vello d'oro e che gli ha dato due figli. Creonte intima a Medea di lasciare Corinto. Un colloquio con Giasone ingigantisce l'ira di Medea che finge rassegnazione ma decide lo sterminio della rivale e dei propri figlioletti. Manda in dono vesti intrise di veleno alla figlia del re che muore tra spasimi orribili insieme al padre, che invano ceca di soccorrerla. Giasone accorre dai figli, ma davanti ai suoi occhi atterriti appare Medea su un carro alato con i cadaveri dei bambini appena uccisi. Li porterà al santuario di Hera per seppellirli lontano da Giasone e dalla vendetta dei corinzi.
Ippolito (428-) è il figlio di Teseo. Egli venera Artemide e non si cura di Afrodite. Offesa, la dea fa innamorare perdutamente di lui Fedra, la sua matrigna. Commossa dalla disperazione di Fedra, la sua nutrice va a confidare a Ippolito la causa dei mai della matrigna. Epilogo fatale: Ippolito, ferocemente casto, impreca senza pietà contro Fedra. Fedra si uccide, ma prepara la sua vendetta. Teseo, di ritorno da un viaggio, trova nelle mani della moglie appena spirata una lettera in cui lei accusa Ippolito di averla violentata. Teseo maledice il figlio, Posidone lo esaudisce facendo travolgere Ippolito dai suoi cavalli in riva al mare. Portato morente al palazzo, Ippolito è difeso da Artemide e muore riconciliato con il padre.
Con Ecuba (c.420-) siamo sulle coste del Chersoneo Tracico, dove gli achei si sono accampati dopo la distruzione di Troia in attesa di venti favorevoli. Ecuba prigioniera di Agamennon presagisce nuove sventure. Poco dopo, la figlia Polissena le viene strappata per essere sacrificata sulla tomba di Achille. A nulla valgono le suppliche di Ecuba a Ulisse, il sacrificio ha luogo, Polissena accetta con orgogliosa fermezza la morte. Subito dopo il mare restituisce il cadavere di un altro figlio di Ecuba, Polidoro, che i genitori avevano inviato durante la guerra presso il re di Tracia Polinestore per sottrarlo ai pericoli della guerra e che era stato assassinato dallo stesso Polinestore. Lo strazio rassegnato di Ecuba per la morte di Polissena diventa desiderio di vendetta. Ottenuta la complice neutralità di Agamennon, attira Polinestore e i suoi figlioletti nella sua tenda e lì , aiutata dalle donne troiane lo acceca e ne uccide i figli. La tragedia si chiude con la profezia di polinestore che preannuncia la morte di Agamennon e di Cassandra (l'altra figlia di Ecuba) per mano di Clitennestra.
Ne Le Supplici (424-), davanti al templio di Demetra, presso Atene, sono radunate in veste di supplici le madri dei sette capi argivi uccisi nel fallito assalto a Tebe, e i cui corpi i tebani non hanno voluto restituire. Le conduce il re di Argo, Adrasto, unico eroe sopravvissuto, che chiede a Teseo re di Atene di intervenire presso i tebani. Teseo accoglie la sua richiesta. Compiuta una vittoriosa spedizione contro Tebe, ne ritorna portando con sé i sette corpi. Per uno di essi, quello di Capaneo, sacro perché ucciso da Zeus, è allestita una pira a parte e su quel rogo si getta la moglie di Capaneo, Evadne, invano trattenuta dal padre Ifi. La tragedia si chiude con l'apparizione di Atena che annuncia l'alleanza di Atene e Argo e la conquista di Atene da parte dei figli dei caduti.
In Elettra (c.413-) la scena è ai confini dell'Argolide, nella casa del contadino Auturgo. Qui Elettra, figlia di Agamennon e Clitennestra, è stata data in moglie dalla madre e da Egisto (nuovo marito di Clitennestra e complice nell'assassinio di Agamennon) a un contadino. Elettra appare rassegnata, adattata alla sua umile condizione, anche grazie al nobile comportamento del marito. Ma il suo furore è ridestato dall'arrivo inatteso del fratello Oreste, accompagnato dal fedele Pilade. Insieme con un vecchio servo, che fu pedagogo di Agamennon, i due progettano la vendetta. Oreste parte, un messo annuncerà poco dopo egli ha ucciso Egisto mentre era intento a un sacrificio. Oreste torna recando il corpo di Egisto, ma ha l'animo oppresso per il delitto appena compiuto. Elettra lo incoraggia e lo fa entrare in casa. Sopraggiunge Clitennestra, attratta da Elettra con il falso annuncio di una sua recente maternità, e viene fatta entrare in casa. Qui Oreste, riluttante e inorridito di sé stesso, la uccide. Sulla casa dell'eccidio si posano i Dioscuri, i divini parenti di Clitennestra, che esortano i due matricidi a lasciare Argo.
Nell' Ifigenia in Tauride (414-), Artemide ha trasportato Ifigenia nella Tauride e l'ha eletta sacerdotessa del suo tempio. Qui, secondo il costume della Tauride, dove regna Toante, è costretta a presiedere al sacrificio sull'ara della dea di tutti gli stranieri che approdano a quella terra. Un giorno le sono portati due giovani appena catturati: suo fratello Oreste che, invasato dalle Erinni dopo il matricidio, è fuggito da Argo; e l'amico Pilade. Dopo molte domande di Ifigenia, che odia il proprio ufficio sanguinoso e pensa sempre alla patria Argo, e dopo una nobile gara tra Oreste e Pilade perché uno si salvi dal sacrificio, i due fratelli si riconoscono e decidono di tornare insieme in patria. Tratto in inganno Toante, riescono a fuggire insieme a Pilade, portando con sé il simulacro di Artemide.
Nell' Oreste (408-) ritroviamo Oreste in preda alle Furie-Erinni, ed Elettra che attendono che il popolo di Argo li giudichi per i loro delitti. Sperano nell'intervento di Menelao e di Elena, appena giunti con la figlia Ermione. Pilade annuncia che la sentenza è stata di morte. Ribelli al verdetto, per salvarsi mettono in atto un piano senza scrupoli: Pilade e Oreste uccidono Elena nella reggia, Elettra vi attira Ermione perché Oreste se ne possa servire come ostaggio. Elettra appicca il fuoco alla reggia. Menelao, per evitare l'uccisione della figlia, li lascia andare liberi. Appare Apollo con Elena, chiamata da Zeus tra i numi, predicendo a Oreste che sarà sciolto dalla colpa e che sposerà Ermione.
Ifigenia in Aulide e Le Baccanti furono rappresentate postume dopo il 406- a cura del figlio, che fu anche lui tragediografo.
Nell' Ifigenia in Aulide Agamennon ha deciso, su consiglio dell'indovino Calcante, di sacrificare a Artemide la figlia Ifigenia per ottenere venti favorevoli alla flotta achea preparata contro Troia. Ha ordinato che lei raggiunga, con la madre Clitennestra, il campo acheo fingendo di volerla sposare a Achille. Si è poi pentito, ma Menelao l'ha di nuovo convinto. Ifigenia e Clitennestra appena giunte, di fronte allo stupore dell'ignaro Achille, scoprono l'inganno. Ifigenia si dispera, ma quando vede Achille pronto a battersi per lei contro Ulisse, per evitare la lotta fraticida si avvia al sacrificio. La madre attende in lacrime l'annuncio del sacrificio. Giunge un araldo a narrarle come Artemide abbia rapito Ifigenia e al suo posto, sull'ara, giaccia sgozzata una cerva.
Ne Le Baccanti il dio Dioniso, figlio di Zeus e di Semele, vuole diffondere in Grecia il proprio culto a cominciare dalla patria della madre, Tebe. Qui il vecchio re Cadmo, padre di Semele e di Agave, ha chiamato a succedergli il figlio di Agave e del nipote, Penteo. Dioniso per punire Agave e le altre donne della città colpevoli di aver dubitato della sua nascita divina, le ha invasate: mentre esse vanno sui monti per celebrare i misteri bacchici, si presenta come un mago inviato dal dio. Anche Cadmo e Tiresia sono invasati. Penteo fa arrestare il presunto mago, ma questi torna miracolosamente libero, mentre il palazzo reale crolla e la tomba di Semele fiammeggia. Penteo si lascia convincere a recarsi, vestito da baccante, sul Citerone per spiare i riti. Lì Agave e le baccanti lo fanno a pezzi credendolo un leone. Cadmo riporta Agave alla coscienza, e alla tremenda realtà di portare con sé come trofeo la testa del proprio figlio. Cessano i prodigi, la vendetta del dio è compiuta. La potenza dell'irrazionale che si sprigiona dalla comunione totale con la natura, ha prevalso sulla ragione (impersonata da Penteo).
Euripides scelse i suoi argomenti tra i miti meno noti, si soffermò su aspetti secondari dei grandi cicli epici e tragici, a volte in polemica con l'antica interpretazione religiosa, a volte dando la spiegazione di riti particolari di cui si era ormai smarrita la giustificazione antica.
Sono tre i filoni della sua produzione (conosciuta).
In un primo tempo prevale la tematica amorosa, il conflitto tragico è provocato dalle forze elementari della passione umana: nascono le grandi figure isolate, per lo più femminili: Alcesti, Medea, Andromaca, Fedra (in "Ippolito").
In un secondo momento si accentuano gli aspetti politici, l'esaltazione patriottica di Atene ("Eracliti", "Supplici"), la coralità della tragedia nel dramma collettivo della guerra ("Troadi").
Infine sono i drammi della "tukhe", il caso ("Elena", "Ifigenia in Tauride", "Ione") in cui, la di là dell'intrigo volto spesso al lieto fine, resta l'amarezza dei destini umani affidati non a un provvidenziale intervento divino ma a un cieco gioco d'eventi.
Isolato, difficilmente interpretabile, di un fascino misterioso, si pone il suo capolavoro: nelle Baccanti Peneo che ha negato gli onori divini a Dioniso finisce ucciso dalle Baccanti guidate da sua madre, che nell'estasi dionisiaca lo scambiano per una fiera. L'accecamento, l'uccisione, sono descritti con razionale orrore. Ma nello stesso tempo, la visione del dio, della comunione con la natura che le seguaci raggiungono, è piena d'incanto e partecipazione. Euripides rende con stupefacente abilità l'ambigua ricchezza dell'elemento dionisiaco.
Euripides mostra un acuto interesse per l'individualità dei suoi protagonisti. Di qui l'insistere su singole scene analitiche. Il gusto del dibattito porta Euripides a costruire perfetti agoni in cui i personaggi discutono, secondo lo stile retorico del tempo, le ragioni del loro agire e i problemi di cui Euripides avvertiva l'urgenza. L'attenzione per l'individuo fa passare in secondo piano il coro: si tratta di una innovazione che comporta anche modifiche della metrica e della musica. Dallo stesso disinteresse per l'ambito generale della vicenda deriva anche l'uso del prologo e del "deus ex machina": un dio o un personaggio risolutore dell'intrigo che chiariscono gli antefatti, spiegano connessioni e riferimenti.
Tutto è trattato sempre in una dimensione di umanità , talvolta di quotidianità antieroica. I miti sono dissolti dall'interno. In questo senso la trago:idì a di Euripides è vicina al dramma borghese.
In vita Euripides non ebbe molto successo. Dopo la morte invece vasta fu la sua influenza: da lui attinse la commedia nuova, e nel periodo ellenistico fu l'unico tragico rappresentato. La tragedia latina (in particolare Seneca) si rifà a lui. E' un successo che si rafforza dall'umanesimo in poi, per il carattere stesso dei suoi personaggi, più svincolati dal mondo mitico, più "laici": in particolare le sue figure femminili, Andromaca, Ifigenia, Fedra, Medea.

Bibliografia: Euripides

trago:idì ai:
Alcesti (438-)
Medea (431-)
Ippolito (428-)
Ecuba (c.420-)
Andromaca
Eraclidi
Supplici
Eracle
Troadi (415-)
Elettra (c.413-)
Elena (412-)
Ifigenia in Tauride
Ione
Fenicie
Oreste (408-)
Ifigenia in Aulide
Baccanti
Reso: spuria

drammi satireschi:
Il Ciclope

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