Storia della letteratura europea - Torna in homepageAristofanes


Aristofanes

Aristofanes è l'unico autore comico del V secolo (-) di cui abbiamo conoscenza diretta.
Nacque ad Atene (nel demo attico di Cidatene) nel c.445- (morì poco dopo il 388-): le poche notizie che abbiamo di lui derivano da quello che ha lasciato nelle sue ko:mo:idìai. Aveva possedimenti nel'isola di Egina. Cultura vasta, non partecipò attivamente alla vita politica. Esordì con lo pseudonimo di Kallistratos. Ci sono giunti una trentina di titoli di commedie, un migliaio di frammenti e undici commedie intere. Sappiamo che dopo il "Pluto", furono rappresentate postume altre due commedie, messe in scena da uno dei suoi tre figli, Araros, che era anche lui un commediografo: pare, con il nome di Araros per il desiderio di Aristofanes di accreditare il figlio davanti al pubblico ateniese.
De I banchettanti (427-) sappiamo che fu la sua prima commedia, cui seguì I babilonesi (426-).
Con Gli acarnesi (425-) vinse il primo agone teatrale alle feste Lenee del 425-, presentandosi ancora con lo pseudonimo. In questa commedia, un contadino attico durante le guerre del Peloponneso, decide di concludere una pace separata con gli spartani.
I cavalieri (424-) è un duro attacco al demagogo Cleone, impersonato da Paflagone, sostenitore della guerra che è sconfitto alla fine dai cavalieri, aristocratici conservatori, e dal Salsicciaio, un demagogo più abile di lui.
Le nuvole (423-, poi rifatta) è la satira della nuova filosofia, e dei nuovi metodi educativi: nello scherno i sofisti sono accomunati con Sokrates. La trama delle commedia è questa: dopo una notte insonne per le preoccupazioni derivate dai debiti contratti dal figlio Fidippide, Strepsiade decide di farsi dare lezioni di sofistica da Sokrates che abita nel Pensatoio vicino casa sua, per respingere i creditori. Sokrates lo accoglie dall'alto del suo cesto appeso al soffitto; sotto l'auspicio delle Nuvole, nuove dee dei sofisti, inizia le lezioni. I risultati sono disastrosi, e Strepsiade viene scacciato. Le Nuvole gli consigliano di mandare a lezione al suo posto il figlio. Dopo un rapido tirocinio Filippide impara la lezione e riesce a allontanare i creditori; subito dopo però prende a bastonate il padre e gli dimostra con abilità dialettica che l'ha fatto per il suo bene. Strepsiade si pente di aver chiesto aiuto alle Nuvole, chiede ispirazione a Hermes, e butta giù il Pensatoio e gli dà fuoco, aiutato dai servi.
Le vespe (422-) è sulla passione ateniese per i processi. Motivo conduttore la polemica contro il demagogo Cleone allora al potere. Filocleone è un vecchio assetato di liti giudiziarie, alle quali presiede come giudice. Suo figlio Schifacleone dopo aver tentato con tutti i mezzi di impedire al padre di partecipare al quotidiano sorteggio dei giudici, lo convince a fare il giudice in casa e gli organizza subito un processo: il cane del demo di Citadene accusa Labes, cane del demo di Exone, di aver rubato del formaggio siciliano (allusione al processo contro lo stratega Lachete). Schifacleone intenerisce il padre mostrandogli i cuccioli dell'accusato, e gli strappa l'assoluzione. Ma il vecchio non è convinto. La commedia termina con un banchetto in cui Filocleone si esibisce in una danza grottesca. Le "vespe" sono i suoi simili che affollano i tribunali.
La pace (421-) è sul viaggio del contadino Trigeo che libera la Pace imprigionata in una caverna da Polemos.
Gli uccelli (411-) descrive il fantastico mondo degli uccelli, fondato da due ateniesi che riescono a sostituirsi agli dei nel governo delle cose del mondo. I due ateniesi sono due vecchi, Pistetero e Evelpide, che lasciano Atene occupata in delazioni e processi, e se ne vanno dagli uccelli. Convincono l'Upupa (un tempo Tereo) e gli altri uccelli dei grandi vantaggi che ne ricaveranno e fondano così una loro città tra cielo e terra: Nefelococcigia. La città è subito invasa da ateniesi scrocconi: il poeta, lo spacciaoracoli, il geometra, l'ispettore delle tasse, il venditore di decreti. Pistetero li scaccia. Stessa sorte ha Iride, messaggera di Zeus, entrata in città senza lasciapassare. Saputo da Prometheos che gli dei fanno la fame perché gli uomini non celebrano più sacrifici, sfrutta la ghiottoneria di Eracle e ottiene che gli dei cedano agli uccelli il potere e a lui la mano di Sovranità, figlia di Zeus.
Lisistrata (411-) è imperniata sull'idea dello sciopero d'amore con cui le donne ateniesi e spartane costringono i loro uomini alla pace. E' l'ateniesa Lisistrata a convincere le donne di Atene Sparta Corinto e Beozia, tutte stanche delle continua guerre, a rifiutarsi ai mariti finché non concludano la pace. Le ateniesi di Lisistrata hanno bloccato l'entrata dell'Acropoli e l'accesso al tesoro. Sono respinti gli attacchi di un gruppo di vecchi e di un minaccioso commissario, ma l'abilità e la fermezza di Lisistrata rischiano di vanificarsi per la sensibilità delle altre donne alle lusinghe dei mariti. Alla fine però sono gli uomini a cedere. Conclusa la pace, è celebrata con un festino la riconciliazione tra i greci. Tra le vivaci protagoniste sono anche la spartana Lampito e Mirrina.
Le donne alla festa di Demetra (Thesmoforiazousai, 411-) è parodia letteraria delle tragedie euripidesiane. Rappresentata alle Grandi Dionisie del -411, satira su Euripides e le donne: queste cercano di vendicarsi del poeta per la sua misoginia, ma si rivelano peggiori di come appaiono nelle sue tragedie.
Ne Le rane (405-) Dioniso sceso nell'Ade per riportare in vita Euripides di cui è un fan, gli preferisce Aiskhulos per la sua tempra di poeta civile. Dioniso è un dio del teatro pavido e ghiottone. Scende nell'Ade dopo un colloquio con Eracle, già esperto in viaggi nell'oltretomba, accompagnato dal servo Xantia: traversano il fiume infernale sulla barca di Caronte con l'accompagnamento assordante di un coro di rane e finalmente sono negli Inferi. Incontra le due ostesse, il collerico portiere di Plutone, il cordialissimo Plutone. Nell'Ade Euripides e Aiskhulos si disputano il trono della tragedia, giudice Dioniso. Benché Euripides gli sembri un sapientone, Dioniso trova Aiskhulos più convincente: pesati i versi di entrambi con l'apposita bilancia, opta decisamente per Aiskhulos.
Le donne in assemblea (c.392-) è sul comunismo dei beni e delle donne instaurato dalle ateniesi, sostituitesi ai mariti nell'assemblea, con relative paradossali conseguenze. Le donne di Atene sono guidate da Prossagora, moglie di Blepiro. Esse si travestono con gli abiti dei mariti, e occupano l'assemblea fin dall'alba lasciando agli uomini, svegliatisi tardi, pochi posti. Poco dopo il vicino Cremete racconta a Blepiro che degli sconosciuti cittadini, pallidi come ciabattini, hanno fatto affidare il governo della città alle donne. Con il nuovo regime, spiega Prossagora a Blepiro, tutto è in comune: soldi cose e donne. Per evitare diseguaglianze, prima di avere una bella un uomo dovrà stare con una vecchia o racchia. Per le donne, un vecchio deve valere quanto un bel giovanotto. Pregi e difetti del regime si vedono quando tre orride vecchiacce si disputano il possesso di un giovanotto venuto a far visita alla sua innamorata. L'opera è chiusa con un fantastico banchetto.
Pluto (388-) fu l'ultima ko:mo:idì a rappresentata in vita da Aristofanes Viene ridata la vista a Pluto, il dio della ricchezza, che da cieco arricchiva i malvagi.
La valutazione dell'opera di Aristofanes è ovviamente resa difficile dalla mancanza di testi di autori immediatamente precedenti o contemporanei. Caratteristiche della sua ko:mo:idì a sono la presenza di un coro direttamente implicato nella vicenda; la divisione dell'azione in due parti: la prima parte, più unitaria, pone le premesse, mentre la seconda parte è divisa in rapide scenette ed espone le conseguenze. Fa da intermezzo la parabasi, in cui il coro esce dalla finzione scenica e interpella direttamente gli spettatori. E' uno schema che varia, soprattutto nelle ultime opere, in cui manca la parabasi. Uno differenza tra le prime e le ultime opere riguarda anche i contenuti. Aristofanes scrive avendo davanti la realtà contemporanea, Atene che si precipita verso il crollo definitivo. Soffre per l'agonia della sua città, colpisce ferocemente tutti coloro che considera responsabili di questa rovina. La sua visuale è quella polemica di un aristocratico conservatore, che considera perniciose le innovazioni culturali politiche e di costume. Quando una società perde il lume e segue euforica qualsiasi moda avventata, diventa rivoluzionario e controcorrente assumere il punto di vista che assume Aristofanes, opporsi con la satira corrosiva alla faciloneria e cialtronaggine contemporanea. Di qui anche l'amore per Aiskhulos contrapposto a Euripides, cui letterariamente anche lui deve tanto, e l'attacco a Sokrates come presuntuoso parolaio. E difatti l'opera di Aristofanes non è chiusa né angusta, come sarebbe se fosse davvero quella di un cieco conservatore, ma è tra le più libere e liberanti. La contrapposizione al presente del passato diventa proposta di una condizione ideale, utopica, contestatrice. Vivissimi il senso della concretezza, dei diritti della quotidianità, del corporeo, l'esigenza di gioia, legata anche al cibo, alla bellezza dei luoghi naturali, alla semplicità del sesso. Stupenda la sua carica eversiva, fantastica, la capacità di costruire mondi surreali, di intrecciare invenzioni aeree e festose insieme a comicità grevi e violente.
La delusione del presente, l'amarezza, producono in Aristofanes non un restringimento o una tensione evasiva, ma una straordinaria forza creativa tesa alla rottura. Il proporre realtà diverse si accentua nelle ultime opere di pari passo con il crollo definitivo della città e delle sue speranze.
Egli riusciva a fondere elementi drammatici e lirici con il lazzo e la satira. Nel mestiere più difficile che esista in letteratura, quello di commediografo, di rappresentazioni volte a far scaturire il divertimento, la risata al pubblico, fu forse il più grande. Egli non solo sapeva far ridere i suoi contemporanei, ma è in grado di divertire e interessare anche noi: questa sopravvivenza è la prova decisiva per qualsiasi testo satirico, di testi capaci di sopravvivere anche solo a pochi anni dalla loro composizione ne esistono pochissimi al mondo.
Grazie alla struttura complessa delle sue commedie, e alle sue straordinarie risorse sceniche, egli riusciva a criticare senza riguardi tutto ciò che lo irritava. Sapeva passare dall'invettiva personale all'apostrofe rivolta al pubblico, alla satira politica o letteraria, dalla rappresentazione scurrile alla riflessione sui mali dell'esistere.
Causa del male era per Aristofanes la degenerazione della vita politica e dei costumi ateniesi. Egli attaccò Perikles, i capi popolari radicali, le istituzioni fondamentali della democrazia. Portò sulla scena la caricatura del Popolo, personaggificato.
Aristofanes fu un autore molto amato, proprio per le sue caratteristiche libere, beffarde, non codì ne. Alla sua morte pare che le sue commedia non furono più rappresentate né imitate: a Roma poi prevalse la moda della ko:mo:idì a nuova, che era ormai cosa diversa del libero teatro politico di Aristofanes.
In genere, nella storia del teatro europeo si può dire che la sua opera è stata a lungo sottovalutata. In epoca rinascimentale la più fortunata delle sue commedie fu "Pluto", che qualcuno ha definito come la meno aristofanesiana delle commedie di Aristofanes. Piuttosto isolata la ripresa de "Le vespe" operata da Racine con "I litiganti". Con lo Sturm und Drang si ha una rivalutazione, per approdare a Nietzsche, con la lettura della gioia della festa dionisiaca. Direi che la lettura di Aristofanes contestatore e politico derivi dalla cultura proprio del XX secolo post-1968, mentre agli anni '70-80 di riflusso politico è la sottolineatura dell'elemento conservatore e aristocratico della sua opera.
Il suo era un mondo realistico e fantastico, a volte surreale, profondamente satirico, in cui recitavano uomini, dèi, animali, esseri inanimati. Le sue scene erano salaci, ma anche con illuminazioni liriche, sogni incantevoli, unione di nostalgie conservatrici e evasioni avveniristiche.
Stessa felicità inventiva ha nel linguaggio, dove i dialoghi, densi di sottintesi e di invenzioni lessicali, si alternano a squarci lirici di delicatissima fattura.

Bibliografia: Aristofanes

I banchettanti (427-)
I babilonesi (426-)
Gli acarnesi (425-)
I cavalieri (424-)
Le nuvole (423-)
Le vespe (422-)
La pace (421-)
Gli uccelli (411-)
Lisistrata (411-)
Le donne alla festa di Demetra (411-)
Le rane (405-)
Le donne in assemblea (392-)
Pluto (388-)

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