Aree
extraeuropee nel - VI secolo
Aree extraeuropee nel - VI secolo
Assiri
Nella regione mesopotamica, importanti risultati
raggiungono gli assiri. Assurbanipal (conosciuto presso i popoli
greci con il nome di Sardanapalos) (668\626-), fece tra l'altro
collezionare a Ninive i più importanti documenti della
letteratura babilonese-assira.
Di quest'epoca si ricorda in campo giuridico il Codice assiro.
Nella mitografia è il poema sulla discesa di Ishtar, dea
dell'amore, agli inferi. In campo storico fiorisce una originale
annalistica. Forse a questo periodo risalgono l'Epopea di Erra,
e il mito di Atrakhasis, noto ai greci come Xisuthros, e che presenta
analogie con l'eroe biblico Noè. L'"Epopea di Erra" o anche
"Poema di Erra" fu opera di Kabti-i-lani- Marduk: forse un sacerdote
di Erra (o Irra). Il poema ci è giunto in frammenti e in
diverse redazioni, nessuna delle quali anteriore al IX secolo
(-). Narra le terribili gesta della divinità (dio della
peste): fu composto forse per risvegliare il timore e la devozione
per un dio dalle prerogative poco accattivanti.
Un genere letterario caratteristico è importante è
quello delle lamentazioni, suppliche di sofferenti per la liberazione
dei mali. Restano oracoli di profeti e indovini, testi che tramandano
precise osservazioni astronomiche (preziose per la cronologia
di quei tempi), diagnosi mediche ecc.; parte rilevante ha anche
la letteratura sapienziale, con testi che trattano delle sofferenze
dei giusti, del valore della vita e della morte, della buona condotta
a scuola, della serietà dello studio, dispute tra due persone
nelle quali interviene alla fine una divinità per dire
chi ha ragione ecc.
Persiani
Dalla Persia sono giunti, dal periodo più
antico (dal VI secolo -, all'invasione araba) solo due categorie
di documenti: le iscrizioni monumentali in antico persiano, redatte
in caratteri cuneiformi, dei re achemenidi (da Dario a Artaserse
III: secoli VI\IV-); e i testi religiosi zoroastriani, tra cui
l' Avesta, libro sacro dei seguaci di Zarathustra, composto nella
lingua denominata avestico, e che raccoglie preghiere, prediche
sacre, inni, brevi opere liturgiche, rituali, norme giuridiche.
L'"Avesta" (Apastak = testo fondamentale, in medio-persiano) fu
scritto in redazione definitiva in un dialetto iranico che differisce
notevolmente dall'antico persiano delle iscrizioni achmenidi.
Fu per questo chiamato avestico. La redazione definitiva risale
all'epoca sassanide (III-VIII secolo +). L'Avesta attuale è
solo un quarto circa del testo originario. Si suddivide in sezioni:
- - Yasna (ufficio divino), raccolta di inni
liturgici in 72 capitoli, di cui fanno parte le "Gatha" (inni)
generalmente attribuiti allo stesso Zarathustra e che rappresenterebbero
perciò una testimonianza diretta della predicazione
del profeta;
- - Visprat, o Vispered (tutti i giudici), raccolta
liturgica analoga alla precedente, in 24 capitoli;
- - Yasht (inni), inni in onore della divinità
cui erano dedicati i giorni del calendario zoroastriano;
- - Videvdat (legge contro i demoni), l'unica
parte pervenutaci intera, in 22 capitoli, contenente le norme
per la purificazione;
- - il "Khorda Avesta" (Piccolo Avesta) è
una raccolta di inni, preghiere, formule, prescrizioni a uso
dei profani.
L'Avesta è ancora oggi libro sacro
per i parsi. In occidente l'Avesta fu fatto conoscere per la prima
volta dall'orientalista Anquetil-Duperron, che nel 1771 pubblicò
a Paris una traduzione con il titolo, improprio, di "Zend- Avesta".
In mediopersiano "apastak" (testo fondamentale) è opposto
a "zand" (commento).
Con la battaglia di Guadamela (331-) la Persia
entrò nell'orbita ellenizzante.
India
A partire dal VI secolo (-) sono composte
in India le Upanisad (Sedute segrete). Si tratta di trattati esoterici,
in prosa o in poesia, di varia estensione e assommanti a oltre
un centinaio. Sono note anche con il nome di "Vedanta" (Fine del
Veda). Raccolgono gli insegnamenti dei maestri ai discepoli sui
temi fondamentali dell'origine e del destino umano e dei suoi
rapporti con l'Essere supremo. In modo asistematico e con un arduo
linguaggio, spesso molto suggestivo, le "Upanisad" identificano
l'essenza individuale ("atman") con quella universale ("brahman").
Dalla conoscenza di questa identità procedono la liberazione
dal ciclo delle esistenze ("samsara"). Le "Upanisad" influenzarono
in modo determinante il pensiero indiano, ed entrarono a far parte
dei "Veda" (In euroccidente furono tradotte in latino da Anquetil-
Duperron nel 1801-2 (+), e così lette da A. Schopenhauer,
tramite cui agì l'influenza su una parte del pensiero filosofico
occidentale).
A dare il segno della ricchezza culturale
dell'India del tempo, è la comparsa anche del giainismo,
intorno alla metà del primo millennio (-). Il gianismo
proponeva una salvezza basata non sul formalismo rituale (tipico
dell'ortodossia brahmanica) ma sull'osservanza di norme di condotta
morale. Una religione che rimase inalterata attraverso i secoli,
a carattere minoritario ma con adepti colti e influenti. Fondatore
fu Jina ("il vittorioso", in sanscrito), ovvero l'asceta Vardhamana
o Mahavira, che visse nel Bohar, una regione dell'India medio-orientale,
attraversata dal medio corso del Gange. Dal fondatore derivarono
un corpus di scritture tramandate. Secondo la dottrina dei giaina
l'universo è eterno, non ha principio né fine, non
venne creato, non è soggetto a alcun reggitore; l'universo
è costituito da un complesso di sostanze elementari, dotate
di proprietà immutabili. Le sostanze si possono dividere
in due categorie: le jiva sono sostanze spirituali (tra esse,
le anime), mentre le ajiva sono le inanimate. Lo spazio è
incorporeo, inerte, costituito da un infinito di unità
spaziali, un ricettacolo che comprende tutte le altre sostanze.
Anche il tempo è incorporeo, consente di determinare l'evoluzione
di ogni cosa. L'istante (samaya) è il tempo che un atomo
impiega per passare da un punto spaziale a un altro. L'ascesi
permette l'annullamento del gravame accumulato dalle azioni, ultima
e indispensabile tappa sulla via che conduce al superamento del
ciclo delle esistenze.
Vissuto tra il 560- e il 480- nel nord-est
dell'India è Buddha (= lo svegliato, l'illuminato), tra
i pensatori e religiosi che hanno avuto più influenza sulla
storia dell'umanità. Buddha non ha lasciato scritti, ma
diffuse la sua dottrina attraverso la predicazione. I suoi insegnamenti
ci sono giunti principalmente attraverso le tradizioni singalese
(pali), tibetana e cinese (in traduzione dal sanscrito): per vari
secoli furono trasmessi oralmente da scuole di recitatori. Solo
verso il I secolo (-) vennero scritti su foglie di palma. Al gruppo
di testi attribuiti tradizionalmente all'insegnamento di Buddha
e in alcuni casi di alcuni tra i suoi primi discepoli si usa dare
il titolo di Discorsi di Buddha. I "Discorsi" sono fondamentali
per la conoscenza della dottrina buddhista. Comprendono materiali
diversi: prediche, dialoghi, massime, testi poetici. Solitamente
prendono occasione da domande rivolte al Buddha sui più
vari argomenti, alle quali il maestro risponde esponendo i princì
pi della propria dottrina. Questi testi hanno uno stile caratteristico,
pacato e solenne, ricco di ripetizioni, di enumerazioni, di formule
fisse: tecnica comune nella trasmissione orale atta a facilitare
l'apprendimento mnemotico. La raccolta dei "Discorsi", e più
esattamente il Cesto dell'insegnamento (Suttapitaka) che appartiene
ai Tre cesti (Tipitaka) che è il canone buddhista in pali
di Ceylon, si divide in cinque parti dette nikaya (collezioni).
Tra i testi di particolare valore letterario oltre che religioso,
ricordiamo in particolare il Grande insegnamento della totale
estinzione in cui sono descritti con profonda commozione gli ultimi
momenti della vita del Buddha, e il Discorso sulla messa in moto
della ruota della legge più noto come "Predica di Benares"
dove sono esposti i fondamenti del buddhismo.
Contesto: la produzione europea (greca)
nel -VI secolo
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