Storia della letteratura europea - Torna in homepageSaffò


Saffò

Saffò era nata a Ereso [Lesbo]. Lasciata prestissimo l'isola natale, si stabilì a Mitilene. Tornò a Lesbo dopo alcuni anni di esilio in Sicilia. A Lesbo nel c.595- sposò Cerchila. Ebbe una figlia, Cleide, che era anche il nome della madre di Saffò. Fu alla guida di una comunità di fanciulle, una comunità religioso-pedagogica legata al culto di Afrodite e delle Muse. In questa comunità le figlie dei nobili erano educate alla musica e alla danza, oltre che alle pratiche del culto.
La leggenda si impadronì presto dei dati biografici che la riguardavano: i comici diffusero la storia della sua bruttezza e del suicidio (buttandosi dal promontorio dell'isola di Leucade) per amore del barcaiolo Faone. In epoca più recente si è parlato di una Saffò libertina e cortigiana, alla cui visione si sono contrapposti critici moralistici.

La sua poesia nasce ed è attiva nel preciso contesto del tiaso, con la sua vita di gruppo, le rivalità interne, le rivalità con altri tiasi. In lei è il culto della bellezza, la valorizzazione etica e pedagogica dell'amore omosessuale (lesbico).
Scrisse in dialetto eolico canti d'amore, inni, poemetti mitologici, epitalami (canti per nozze). Essi circolarono nell'antichità (periodo ellenistico) divisi in nove libri, secondo criteri prevalentemente metrici: il libro IX contiene epitalami di vario metro. A noi restano un'ode intera e 213 frammenti. Alcuni dei frammenti ci sono giunti per trasmissione indiretta, grazie alla citazione di autori antichi; altri grazie ai recenti ritrovamenti in papiri o in brandelli di volumi in pergamena scoperti in Egitto.

Saffò è poeta d'amore. L'amore è fuoco sottile, febbre, tenerezza, gelosia. Diretto verso le giovani e belle fanciulle che venivano alla sua scuola. Ne conosciamo grazie a lei il nome, i gesti, le parole, il destino: Gongila, Attide, Dica, Anattoria, Arignota. Qualcuna passa alle scuole rivali, altre si sposano, vanno lontano. Leggiamo in un lungo frammento:
"Essere morta, morta! Lei lacrimava fitto lasciandomi. Disse: «Che sorte | crudele, Saffò | credi, non vorrei | lasciarti». | Io le risposi: «Addio, và serena e ricordati di me. Tu sai che t'ho voluto bene. | Oppure - sarò io a ricordare: tu dimentichi - pensa alla nostra storia, così dolce. | Quante corone di viole e di rose e di salvia ti ponevi sul capo - eri là, vicino a me -; | che intrecci di ghirlande al collo delicato - erano fatte dei fiori della primavera -! | Tutte le carni di un'essenza d'erbe ti ungevi, che fluiva e di un olio regale; | sfogavi, sopra morbidi letti, desiderii di tenere compagne. | Non c'era ballo, non c'era festa... da cui fossimo assenti | e non c'erano boschi, a primavera..."
La loro bellezza è sempre, per Saffò, un'improvvisa rivelazione del sacro, che la fa tremare:
"Mi sembra simile agli dei quell'uomo che siede di fronte a te e vicino ascolta te che dolcemente parli | e ridi un riso che suscita desiderio. Questa visione veramente mi ha turbato il cuore nel petto: appena ti guardo un breve istante, nulla mi è possibile dire, | ma la lingua mi si spezza e sù bito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle e con gli occhi nulla vedo e rombano le orecchie | e su me sudore si spande e un tremito mi afferra tutta e sono più verde dell'erba e poco lontana da morte sembro a me stessa. | Ma tutto si può sopportare poiché ..."
Troviamo, in questi frammenti, alcune lapidarie affermazioni, tenerissime: "chi è bello è bello da vedere, e basta. Ma chi è buono sarà sù bito bello". E ancora:
"Quale la cosa più bella sopra la terra bruna? Uno dice «una torma di cavalieri», uno «di fanti», uno «di navi». Io, «ciò che s'ama». Farlo capire a tutti è così semplice! [...]"
Quando il suo cuore si tormenta per l'indifferenza di qualcuna, la dea che invoca appassionatamente è Afrodite: una delle poesie più alte ritrae Afrodite che lascia la casa d'oro del padre Zeus e viene a lei per dirle parole di conforto e di speranza.
In un altro dei frammenti:
"C'è sull'alto del ramo, alta sul ramo più alto, una mela rossa: dai coglitori fu dimenticata. Dimenticata? No, non fu raggiunta [...]"
Tono più distaccato gli epitalami, con il loro carattere più popolaresco, la frequenza delle riprese, la gaiezza e il riso: in carattere con le feste nuziali in cui venivano cantati.
Tutto nella poesia di Saffò è detto con una immediatezza così spoglia che i nessi logici del discorso risultano quasi inavvertibili. L'amore è una forza della natura alla quale nulla può resistere. Eros è "come il vento che si abbatte sulle querce del monte". Ma è soprattutto memoria, ricordo delle esperienze passate, che si proietta nel presente. Costante tensione tra la lacerazione degli affetti e la loro possibilità di rinnovarsi. L'avvicendarsi delle ragazze nel tiaso dà agli affetti di Saffò il carattere di continuità, nel mutare degli oggetti d'amore. Espressione di questa continuità è il culto di Afrodite. E' la stessa capacità di permanenza che Saffò chiede alla poesia, consapevole che la gloria poetica non dura al di là della morte.
La sua fama fu immensa nel mondo greco e latino, fino a noi. Per noi si tratta di uno dei pilastri fondamentali della cultura e della poesia mondiale.

Contesto storico


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