Publius
Terentius Afer
Publius Terentius Afer
Publius Terentius Afer è africano. Nacque nel c.190-
forse a Carthago (alcuni sostengono fosse berbero), fu condotto
schiavo da Carthago a Roma dal senatore Terentius Lucanus che
lo usò come amante. Fu legato a famiglie di nobili come
C. Sulpicius Gallus, Q. Fulvius Nobilio, M. Popilius. Fu affrancato,
pare per le sue doti di intelligenza e bellezza. Recatosi in Grecia,
morì durante il viaggio di ritorno, nel c.159-.
Dai suoi rapporti con l'ambiente aristocratico deriva lo spirito
urbano che caratterizza il suo teatro, insieme alla diceria che
alle sue commedie collaborassero "nobiluomini" (homines nobiles)
ovvero che fossero loro i veri autori delle sue commedie. Da questa
calunnia, come da altre accuse, come il rimprovero di aver fatto
ricorso alla "contaminatio" di diversi originali greci, Terentius
si difese nei prologhi delle sue stesse commedie. Fu autore di
teatro molto interessante per la problematica umana affrontata
ma non incontrò il favore del grande pubblico romano. La
sua carriera teatrale si esaurì nel giro di sette anni,
dal 166- al 160-. La sua opera ci è giunta integra, accompagnata
da una serie di commenti antichi, particolarmente quello importante
di Elius Donatus.
L'andrina (Andria), ovvero la fanciulla di Andros, è
ambientata a Atene, dove Simone vuol far sposare il figlio Panfilo
con Filomena, figlia del suo amico Cremete. Ma Panfilo ama Glicerio,
una fanciulla venuta dall'isola di Andro (da cui il titolo della
commedia), sorella di una nota puttana. Alla mano di Filomena
ambisce invece il giovane Carino. In favore degli innamorati e
contro Simone si adopera con astuti intrighi il servo di Panfilo,
Davus, che è il protagonista vero della commedia. Ogni
suo sforzo risulterebbe vano senza la rivelazione finale che Glicerio
è la figlia perduta in un naufragio di Cremete. Tolto l'ostacolo
dato dalle sue origini, Glicerio sposa Panfilo mentre Filomena
si unisce con l'amato Carino.
Ne La suocera (Hecyra), che dovette essere rappresentata
per la prima volta forse nel 165- (un secondo tentativo ai ludi
funebres di Paulus Aemilius nel -160, pare che solo alla terza
volta fu possibile procedere alla rappresentazione della commedia),
il giovane Panfilo è innamorato della cortigiana Bacchide.
Ha sposato Filùmena solo per obbedire al padre Lachete,
e non vuole avere rapporti con lei. La tenerezza della moglie
commuove Panfilo che non pensa più a Bacchide: nel momento
di partire per un viaggio d'affari sente d'essere innamorato della
propria moglie. Durante la sua assenza Filùmena torna a
casa della madre. Lachete crede di ciò responsabile la
moglie Sostrata, suocera della ragazza. Filùmena in realtà
deve partorire un bambino, concepito evidentemente prima del matrimonio.
Panfilo al suo ritorno, benché ami la moglie, non la rivuole.
I due padri incolpano di tutto Bacchide, che viene in casa di
Filùmena a garantire che il suo rapporto con Panfilo è
finito da tempo. La madre di Filùmena vede al dito di Bacchide
un anello che apparteneva alla figlia. Si scopre che il padre
del bambino è lo stesso Panfilo che aveva abusato di Filùmena
senza conoscerla, durante una festa pubblica prima delle nozze.
La commedia è tratta da quella omonima di Apollodoro da
Caristo.
Ne Il punitore di sé stesso (Heuatontimorumenos)
il vecchio Menedemo ha costretto il figlio Clinia a partire soldato
per allontanarlo dall'amata ma povera Antifila. Pentito, si punisce
facendo faticosi lavori nei campi, invano confortato dall'amico
Cremete. Clinia torna e va ad abitare segretamente presso Clitifonte,
figlio di Cremete e amante della puttana Bacchide. Per poter incontrare
le amate e nascondere a Cremete la dispendiosa relazione del figlio,
invitano a casa Bacchide facendola passare per Antifila mentre
Antifila si traveste da ancella. Si scopre che Antifila è
figlia di Cremete, con gioia di Menedemo che aveva già
fatto pace con il figlio. Clitifonte torna sulla retta via accettando
in moglie una figlia gradita ai genitori. La commedia è
tratta da un esemplare menandrosiano, rielaborato con altro materiale.
Ne I fratelli (Adelphoe) l'austero Dèmea ha allevato
secondo rigidi princìpi tradizionali il figlio Ctesifone,
mentre l'altro figlio Eschino adottato dal fratello Micione è
stato educato con criteri liberali, "moderni". Ctesifone ha una
relazione con la puttana Bacchide, mentre Eschino per evitare
al fratello le ire di Demea fa credere di essere lui l'amante
della puttana, ma in realtà progetta di sposare Panfila,
una fanciulla povera che sta per dargli un figlio. Nelle divergenze
di opinione tra Demea e Micione sull'educazione, i princìpi
di Demea sembrano convalidati dalla presunta depravazione di Eschino,
ma alla fine la verità viene a galla. Nell'apprendere che
il vero dissoluto è Ctesifone, Demea si converte alle idee
del fratello, e concede al figlio di prendersi Bacchide come concubina.
Eschino sposerà Panfila con il consenso paterno.
Secondo i dati disponibili, "I fratelli" è l'ultima delle
commedie scritte e rappresentate di Terentius. La commedia sembra
riflettere il conflitto ideologico in atto tra l'ala conservatrice
e anti-ellenica impersonata da Cato e l'ala liberale e filo-ellenica
del circolo degli Scipioni.
Terentius nasce e vive nell'epoca in cui Roma domina ormai il
mediterraneo: dalla Gallia meridionale alla Spagna, dall'Africa
settentrionale alla Grecia e alla Macedonia, le legioni romane
avevano imposto la pax e il saccheggio delle regioni sottomesse;
sopravvivevano ancora le fragili monarchie ellenistiche di Egitto,
Siria e Asia, preoccupate di omaggiare la nuova potenza con ambascerie
e doni, in cambio magari di aiuti militari per consolidare i propri
labili confini. Artefici di questa politica espansionistica romana
erano stati gli Scipioni, nel cui circolo culturale si formò
il giovane Terentius. Le sei commedie di Terentius segnano uno
stacco rispetto al teatro di Plautus, una differenza accolta con
grande interesse dall'élite culturale romana ma non dal
grande pubblico.
Alla comicità irresistibile e non problematica di Plautus,
Terentius contrappone una analisi più riflessiva e sfumata
del personaggio: nemmeno al servo truffaldino o alla puttana nega
tratti di nobiltà. In piena coerenza, alle sfrenate cadenze
del "sermo" plautusiano Terentius sostituisce un linguaggio più
composto, anche dal punto di vista metrico, e propone un modello
stilistico di grazia e di misura. Indicativa la preferenza per
i dialoghi, a scapito dei monologhi con cui invece Plautus cercava
di agganciare l'attenzione del pubblico. Terentius prende dai
modelli greci una problematica morale, esprime, in accordo con
la parte più colta della "nobilitas", ideali nuovi, anche
sul piano educativo. Specie con "Il punitore di sé stesso"
e con "La suocera" è stato considerato il primo grande
rappresentante del dramma borghese.
Mentre Plautus deriva i suoi modelli da svariati autori della
commedia attica nuova, Terentius ha come modelli due soli autori:
Menandros e il suo imitatore Apollodoro Caristio. Terentius attua
una imitazione stretta del modello: forte unità d'azione,
semplicità di stile, scarsa varietà di metri, assenza
pressocché assoluta di parti liriche. In un certo senso
fu un traduttore letterario di Menadros, a scapito anche della
ricerca del comico e dell'effetto.
Certo è che l'opera di Terentius conobbe un successo solo
dopo la sua morte, tra i più raffinati e letterari posteri
che non presso il pubblico contemporaneo popolare: Volcacius Sedigitus
lo poneva al sesto posto nel suo canone di poeti comici, mentre
intellettuali con Afranius, Varro, Cicero, Caesar ecc. lodarono
lo stile e la bellezza delle sue commedie.
Anche in seguito Terentius ebbe una certa influenza, e se Augustinus
fu colpito dal celebre «homo sum, humani nihil a me alienum puto»,
Hroswitha nel X secolo (+) volle contrapporre alle commedie di
Terentius un Terentius cristiano con le sue sei commedie in prosa
ritmica. La puttana Taide dell'"Eunuco" fu ripresa da Alighieri
nella "Commedia" (Inferno, canto 18) come prototipo dell'adescatrice.
Nel rinascimento contribuì poi insieme a Plautus alla rinascita
della "commedia regolare", anche se rimase confuso con Plautus,
mentre nel XVIII secolo fu postposto al più comico Plautus.
Bibliografia: Terentius
Le sue commedie, secondo la cronologia tradizionale, sono:
- "L'andrina" (Andria, rappr. nel 165-)
- "La suocera" (Hecyra, 165-)
- "Il punitore di sé stesso" (Heuatontimorumenos, 163-)
- "L'eunuco" (Eunuchus, 161-)
- "Formio" (Phormio, 161-)
- "I fratelli" (Adelphoe, 160-).
Indice del -II secolo
[1997]
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