Marcus
Tullius Cicero: opere
Marcus Tullius Cicero: opere
Del centinaio di orazioni da lui composte ce ne rimangono 58.
Ne La cosa pubblica (De republica), ampi frammenti del
quale furono ritrovati da Angelo Mai nel 1821 in un palinsesto
vaticano, discute la miglior forma di governo prendendo come riferimento
la precedente storia romana, e propugna un sistema che combina
in sé i vantaggi della monarchia, dell'oligarchia e della
democrazia, realizzato dalla costituzione repubblicana di Roma.
Nei trattati filosofici espone, basandosi su fonti greche stoiche
e academiche, le dottrine della maggiori scuole filosofiche del
tempo (stoica, epicurea, academica) su problemi metafisici e morali.
In queste opere, che sono state fino al tardo medioevo la fonte
principale per la conoscenza della filosofia greca in occidente,
codifica il linguaggio filosofico latino.
Importante per la vasta influenza che ebbe nei secoli successivi
è Il sogno di Scipio. In origine formava il solenne
finale del grande trattato "La repubblica" (De republica); per
la straordinaria suggestione concettuale e artistica questa sezione
già nell'antichità venne separata dal contesto,
ebbe una estrema diffusione e si salvò dallo scomparire
dal resto dell'opera (che possediamo in parte, grazie ai ritrovamenti
di Angelo Mai). "La repubblica" fu scritto tra il 54- e il 51-,
vi si immagina un dialogo tenuto nella villa di Scipio Aemilianus,
il distruttore di Carthago. Già allora era evidenti i segni
della crisi che avrebbero portato alla fine della repubblica,
e alla discussione tra insigni personaggi di quel tempo Cicero
affida il compito di riproporre la convinzione di cui egli stesso
forse disperava: che nell'equilibrato contemperamento delle tre
forme di governo (monarchia aristocrazia democrazia) rappresentate
dai consoli, dal senato e dal popolo, lo stato romano possedesse
una struttura perfetta e imperitura. La realtà era fatta
di corruzione e violenze, non restava che richiamarsi all'universalità
di una norma etica una volta che la fiducia nel pragmatismo romano
veniva meno. Scipio racconta un sogno, un mito, la visione dell'oltretomba
dove nella verità eterna si dissolvono le smanie degli
individui e la giustizia si identifica con il ritmo dell'universo.
A trasportarlo nell'aldilà è il sommo antenato,
Scipio Africanus, che vincendo Hannibal aveva salvato Roma. Egli
introduce il nipote allo splendore del cosmo, gli indica le leggi
che ne dirigono gli armonici moti. Soprattutto rivela la regola
suprema che riserva il destino della felicità eterna a
quanti nell'esistenza terrena abbiano saputo vincere la prigione
del corpo e delle passioni. Cicero adotta il modello visionario
che Plato aveva coniato nella "Repubblica" con il mito di Er,
il soldato della Panfilia caduto in battaglia e ritornato in vita
a narrare il sistema dell'universo e il destino dell'anima. Ma
mentre gli interessi di Plato sono metafisici, quelli di Cicero
sono più pratici, puntano a stabilire modi e possibilità
di una eticità della politica. La verità dell'uomo
sta nell'adempiere al proprio ruolo, consapevoli che esso è
effimero, e tuttavia necessario per il bene della società.
Agli uomini onesti che si adoperano per la salute della cosa pubblica
è riservata la gloria più alta nell'oltretomba.
Accanto ai servitori dello stato, Cicero pone anche i musici,
che conoscono le armonie che regolano il suono delle sfere celesti
e donano agli uomini l'immagine profonda del cosmo, la sapienza
e la moralità della legge. Il testo, per la tematica e
la valenza escatologica, fu poi usato dal cristianesimo latino,
e per questo riuscì a sopravvivere.
La prosa di Cicero è sintatticamente complessa, ritmicamente
scandita, ma anche limpida e attentissima alle sfumature di significato.
Di stile più vivace e colloquiale sono le Lettere, quasi
un migliaio, pubblicate già alla fine del primo secolo
dal liberto Tyron, che ci consentono di conoscere la personalità
di Cicero come quella di nessun altro scrittore latino, e costituiscono
una delle maggiori fonti per la conoscenza della vita privata
a Roma in quel periodo. Ci sono giunte nella forma originaria,
dettate o scritte in forma immediata: Cicero non ebbe modo di
procedere a una loro rielaborazione letteraria sul modello di
Platon e di Epicyros. Frammiste alle lettere di Cicero sono anche
le lettere, spesso significative, dei corrispondenti.
Contesto
[1996]
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